Page 39 - La filosofia come esercizio spirituale.
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soprattutto la forza vitale.   77
                  Per  curare  questo  male  occorre,  oltre  alla  meditazione  sui  principi
               filosofici, un’altra forma di esercizio spirituale: l’ascesi (askesis) che assume

               diverse forme in base alla scuola di origine, ma che possiede in ciascuna di
               esse l’obiettivo comune di mitigare (se non estirpare) la forza negativa delle
               passioni,  che  impediscono  al  filosofo  di  raggiungere  il  perfetto  stato  di

               tranquillità interiore.
                  Filo  conduttore  dell’ascesi  filosofica  è  la  privazione,  il  fare  a  meno  dei
               beni non necessari per ricondurre l’esistenza al suo nucleo autentico, quello

               che non necessità di null’altro oltre all’esistenza stessa.
                  Si  può  trattare,  ad  esempio,  dell’adozione  di  un  particolare  regime

               alimentare  come  il  vegetarianesimo,  presente  in  alcuni  correnti  platoniche
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               come  quella  plutarchea ;  nel  distaccarsi  per  un  periodo  di  tempo  da  beni
               posseduti  che  però  non  sono  necessari,  come  attestano  alcuni  brani  delle
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               Lettere a Lucilio di Seneca ; esercitarsi nella temperanza, senza eccedere né
               in difetto né in eccesso, come prescrive la condotta epicurea; oppure adottare
               uno stile di vita estremamente spartano, senza altri beni oltre al proprio corpo,
               come quello di Diogene che, stando alla testimonianza di Diogene Laerzio, non

               possedeva nemmeno una casa, preferendo vivere in una botte.              80
                  Sono  tutti  esercizi  che  permettono  al  filosofo  di  abituarsi  alle  avversità,

               permettendogli di temprare il proprio animo e di fargli acquisire un dominio
               totale su di esso, mitigando la forza di emozioni come la paura, la tristezza, la
               concupiscenza fino a farle svanire del tutto.

                  In  questa  stessa  prospettiva  rientra  un  altro  esercizio  comune  a  tutte  le
               scuole, l’esercizio della morte. È un esercizio che Hadot fa risalire a Socrate,
               rifacendosi alla testimonianza del Fedone, dialogo in cui il filosofo, sul punto
               di  prendere  la  cicuta,  sostiene  che  la  filosofia  può  riassumersi  come  un

               continuo esercizio per prepararsi a morire serenamente.
                  Al contrario di quello che si potrebbe pensare, non è un esercizio che rende

               vana la vita attuale, proiettandola in un futuro cupo e senza senso. Come scrive
               Hadot:

                   «In questo esercizio l’io è totalmente circoscritto al presente; esso si esercita solamente in ciò che
                   vive, ossia il presente: esso si separa da ciò che ha fatto e detto nel passato e da ciò che vivrà in
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                   futuro.»
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