Page 37 - La filosofia come esercizio spirituale.
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spirituali.

                  Il  primo  esercizio  spirituale  da  attuare  per  conquistare  il  dominio  di  se
               stessi è la presa di coscienza del proprio io.

                  Come scrive Hadot:

                   «Gli esercizi spirituali corrispondono quasi sempre al moto grazie al quale l’io si concentra su se
                   stesso, scoprendo che non è ciò che credeva di essere, che non si confonde con gli oggetti per i
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                   quali ha provato attaccamento.»

                  È  quello  che  avviene,  ad  esempio,  nel  già  citato  Alcibiade  maggiore  di
               Platone,  nei  passi  in  cui  Socrate  dimostra  ad  Alcibiade  che  è  impossibile
               avere il controllo di sé e compiere azioni giuste se prima non si conosce il

               vero “sé”, che non consiste nei beni esterni o nel corpo, bensì nella propria
               anima.  E  conoscere  la  propria  anima  significa  prendersi  cura  di  essa
               nutrendola  con  il  cibo  che  le  è  proprio,  la  conoscenza,  riscoprendo  così  il

               divino che è in noi.   71
                  Lo  stesso  processo  di  riscoperta  del  proprio  sé  autentico  si  ritrova  nel

               decimo  libro  dell’Etica  Nicomachea  di  Aristotele,  in  cui  la  vera  essenza
               dell’uomo  viene  identificata  con  la  parte  dell’anima  più  divina,  l’intelletto.
               Oppure nella riflessione di Epicuro che, come sottolinea Hadot, prende avvio
               dall’esperienza  comune  a  tutti  gli  uomini,  la  più  autentica  e  personale:

               l’esperienza del dolore e del piacere della carne.         72
                  Un’indagine sulla conoscenza di sé che, nello stoicismo, assume l’aspetto di

               un  esercizio  spirituale  molto  diffuso:  il  colloquio  con  se  stessi  (o
               meditazione). Si tratta di un dialogo interiore volto a dissezionare ogni singolo
               aspetto della propria anima, per vagliarne le virtù e i vizi, per raggiungere la
               consapevolezza dei progressi fatti e, soprattutto, di quelli ancora da compiere.

                  Un chiara descrizione di tale attività è quella che dà Seneca nel De ira:


                   «Io mi avvalgo di questa possibilità, e mi metto sotto processo ogni giorno. Quando hanno portato
                   via la lucerna e mia moglie, che conosce la mia abitudine, tace, io scruto l’intera mia giornata e
                   controllo tutte le mie parole e azioni, senza nascondermi nulla. [...] Diamo pace al nostro animo,
                   quella pace che deriva dalla continua meditazione dei dettami salutari, dalle azioni buone e da una
                   mente  intenta  a  desiderare  solo  la  virtù.  Pensiamo  a  soddisfare  la  nostra  coscienza,  senza
                   preoccuparci della fama.» 73
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