Page 21 - La filosofia come esercizio spirituale.
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possiedono la sapienza e dunque non hanno bisogno di filosofare: gli dei e gli

               stolti. I primi perché sono già saggi, i secondi perché credono di esserlo.            35
                  Il filosofo si pone in una posizione intermedia tra le due condizioni. Non è

               saggio  poiché  non  possiede  la  sapienza  e  non  è  stolto  poiché  sa  di  non
               possederla. La sua vita è spesa in uno sforzo continuo che lo porta a tendere
               verso la sophia, con la consapevolezza che, per quanto potrà avvicinarvisi,

               non riuscirà mai a raggiungerla.
                  Proprio perché le parole sono un mezzo vacuo esse non possono, da sole,
               sostenere  questo  sforzo  continuo,  la  strada  verso  la  sapienza  richiede  una

               conversione  totale  del  proprio  modo  di  essere,  che  coinvolga  e  metta  alla
               prova l’esistenza.

                  Una  concezione  che  cambia  radicalmente  la  prospettiva  del  pensiero
               filosofico e della sua pratica.


                   «Il vero problema non è il sapere questa o quella cosa, ma l’essere in questo o quel modo.» 36


                  In  questo  senso  Hadot  rileva  in  Socrate  l’iniziatore  della  filosofia  intesa
               come  esercizio  spirituale;  consapevole  dell’insignificanza  dell’uomo  nei
               confronti  della  natura  (physis),  egli  ha  spostato  l’interesse  di  studio  sulle
               dinamiche e i valori umani.

                  Lo  stesso  Socrate  è  consapevole  di  tale  variazione  di  prospettiva,  come
               riporta un emblematico passo di Senofonte:


                   «Egli [Socrate] tralasciava di occuparsi della natura dell’universo, dell’origine del mondo e delle
                   cose  celesti,  aspetti  indagati  da  coloro  che  definiva  pazzi.  [...]  Dal  canto  suo  egli  si  occupava
                   solamente  delle  faccende  umane,  della  pietà,  della  cattiveria,  dell’onestà  e  della  disonestà,  della
                                                                                                  37
                   giustizia e della ingiustizia, della sanità di mente e della follia, della fortezza e dell’ignavia.»

                  Oltre a una nuova concezione del filosofo, a permettere questo passaggio è
               un’altra scoperta fondamentale: la scoperta della psyché umana.

                  Come scrive un altro storico della filosofia, Giovanni Reale:

                   «Per Omero la psyché era lo spirito nel senso di “fantasma” che abbandonava l’uomo alla sua
                   morte, per andarsene come larva vana e inconsapevole a vagolare senza scopo nell’Ade; per gli
                   Orfici era invece il dèmone che espiava in noi la colpa, e che era tanto più se stesso quanto più si
                   staccava dall’io consapevole, ed era tanto più attivo quanto più si affievoliva e scompariva la nostra
                   coscienza [...], per i Fisici era invece il principio o un momento del principio [...] per i poeti essa
                   restava qualcosa di assai indeterminato e comunque mai teoreticamente definito.
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