Page 940 - Dizionario di Filosofia
P. 940

creato è « il migliore dei mondi possibili ».

          Mondo  come  volontà  e  rappresentazione  (IL)  [Die  Welt  als  Wille  und
          Vorstellung] (1818), opera di Schopenhauer. Rifiutando le deformazioni idealistiche
          del criticismo e riallacciandosi direttamente a  Kant, il filosofo distingue la realtà
          come  fenomeno  dalla  realtà  come  cosa  in  sé.  La  prima  è  il  mondo  della

          rappresentazione (Vorstellung), in cui il reale si manifesta nelle forme proprie del
          soggetto conoscitore (spazio, tempo e causalità); la seconda non è, come riteneva
          Kant, un puro pensabile. Che cosa sia il mondo in sé noi possiamo invece saperlo,
          assumendo la nostra stessa individualità come segno rivelatore di tutto l’universo. Se
          ci caliamo in noi stessi, noi constatiamo che il principio ultimo di ogni nostra attività
          è una forza inconsapevole, una vitalità irrazionale, che Schopenhauer designa come «
          volontà » (Wille).  La cosa in sé è dunque volontà, mentre la materia inanimata, i

          corpi viventi e la stessa attività psichica dell’uomo non sono che volontà oggettivata
          a vari livelli.  L’universo è la manifestazione perennemente inquieta e instabile di
          questo  cieco  impeto:  di  qui  la  tensione  che  pervade  tutti  i  gradi  del  reale  e  che
          nell’uomo si manifesta come inesauribilità del bisogno, come sentimento perenne di
          carenza al più interrotto da pause illusorie di sazietà (noia), e perciò come dolore.
          Quindi, con una inconseguenza più volte sottolineata dai suoi critici, Schopenhauer

          introduce in una situazione così « bloccata » una via di riscatto, dimostrando come la
          volontà possa autonegarsi in forme sempre più complete e definitive e sottrarsi così
          alla schiavitû della propria natura. Una prima forma di liberazione, occasionale e
          provvisoria,  è  costituita dall’arte,  in  quanto  pura  contemplazione  disinteressata
          dell’idea presente nell’oggetto sensibile. La seconda è la giustizia, come correttivo
          dell’impulso prevaricatore, in cui si manifesta necessariamente la volontà di vivere.
          La terza è la compassione, attraverso la quale facciamo nostro il dolore degli altri e

          comprimiamo  fin  quasi  alle  soglie  dell’annullamento  la  nostra  individualità.  La
          quarta è l’ascesi, cioè il rifiuto della volontà di vivere, lo spegnimento completo di
          essa (nolontà). Questo risultato non è conseguibile con il suicidio, che è ancora un
          modo  subdolo  di  affermarsi  della  volontà,  ma  solo  con  l’automortificazione,
          seguendo l’esempio dei santoni indiani, che raggiungono con tecniche appropriate la
          perfezione      del nirvāna  (annullamento  dell’individualità).  L’opera,  che  è  il

          capolavoro di Schopenhauer, si impone anche per i suoi pregi letterari.

          Nascita  della  tragedia  (LA)  ovvero  Grecità  e  pessimismo  (Die  Geburt  der
          Tragödie oder Griechentum und Pessimismus), opera di Nietzsche, pubblicata nel
          1872,  nella  quale  i  risultati  di  studi  precedenti  sul  teatro  greco,  su  Socrate,  sulla
          visione  dionisiaca  del  mondo,  vengono  ripensati  dall’autore,  allora  professore  di
          letteratura  greca  a  Basilea,  sotto  l’influenza  delle  esaltanti  conversazioni  con
          Wagner.

          L’arte greca è la risultante della tensione fra il momento « apollineo » e quello «
          dionisiaco », vale a dire fra la contemplazione appagante e la furia orgiastica della
          vitalità. L’anima greca giunse gradatamente e con difficoltà a dominare nell’ordine e
          nella misura il suo fondo oscuro, greve di eredità asiatica e di titanismo distruttore, e
   935   936   937   938   939   940   941   942   943   944   945