Page 945 - Dizionario di Filosofia
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non è peraltro sempre possibile e d’altronde una repressione totale delle passioni

          non sarebbe nemmeno desiderabile: « La filosofia che coltivo, egli dice, non è né
          così barbara, né così feroce, da respingere l’uso delle passioni; al contrario, è in
          esso che io pongo tutta la dolcezza e la felicità della vita ».
          Pensieri (Pensées), titolo sotto il quale furono pubblicati nel 1670 dagli amici di

          Port-Royal gli appunti e le annotazioni che  Pascal aveva scritto in vista di quella
          Apologia del cristianesimo, che la malattia e la morte gli impedirono di portare a
          compimento. L’edizione del 1670 era il risultato di una scelta arbitraria di pagine e
          di frammenti, presentati per di più in un ordine discutibile. Dopo la prima edizione
          integrale  (Faugère,  1844)  numerosi  lavori,  fra  cui  quelli  di  Couchoud,  Michaut,
          Brunschvicg, Tourneur e Lafuma, hanno mirato a restituire un testo più conforme alle
          intenzioni originali dell’autore.

          Gli  argomenti  della  filosofia  e  della  teologia  razionale  non  hanno  presa  sul  «
          libertino  »,  sull’incredulo  lontano  da  Cristo,  al  quale  l’apologetica  pascaliana  si
          rivolge.  I  discorsi  dei  teologi  possono  consolidare  le  certezze  del  credente,  non
          svegliare nel miscredente l’inquietudine e produrre quella presa di coscienza sulla
          quale  si  radica  e  cresce  l’esigenza  religiosa.  L’apologetica  pascaliana
          dell’immanenza  (come  è  stata  più  tardi  caratterizzata)  muove  perciò

          dall’esplorazione  della  condizione  dell’uomo  e,  portando  alla  luce  con  rigorosa
          insistenza i contrasti e le contraddizioni, dai quali essa è lacerata, mostra alla fine
          che  l’appello  alla  trascendenza  e  la  fede  nel  Cristo  mediatore  danno  senso  a  un
          dramma altrimenti assurdo e senza esito.
          Più che alla ragione ci si rivolge dunque in questa indagine alle « ragioni del cuore
          », più che all’esprit de géométrie, all’esprit de finesse. E in verità la scissione e la
          fondamentale  ambiguità  sono  i  tratti  distintivi  dell’uomo.  Questo  essere

          contraddittorio  cerca  soprattutto  la  verità  e  non  può  mai  raggiungerla.  Da  essa  lo
          tengono lontano le « potenze ingannatrici » insite nella sua stessa natura. I sensi, la
          volontà, l’ « amore di sé », la ragione, e, prima fra tutti, l’immaginazione, « maestra
          di  errore  e  di  falsità  »,  lo  confondono  e  lo  fuorviano.  L’uomo  aspira  inoltre
          all’ordine e alla giustizia, ma è condannato a sottostare ai capricci dell’opinione e
          dell’arbitrio. I costumi sono assurdi (ciò che è vero al di qua dei Pirenei è falso al di

          là), i regimi politici poggiano sull’irrazionale, il diritto si basa sulla forza. Anche
          l’anelito verso la felicità è perennemente deluso e al posto di essa l’uomo trova solo
          « la miseria e la morte ». E poiché d’altronde nessuno dei sistemi filosofici da lui
          escogitati può soddisfarlo, l’uomo tenta, ma invano, di sfuggire alla sua condizione
          con il divertissement, lasciandosi assorbire dalle occupazioni e dalle distrazioni.
          E  tuttavia,  malgrado  la  sua  miseria,  e  pròprio per  il  fatto  che  ne  è  consapevole,
          l’uomo è grande. È « una canna, ma una canna pensante ». La coscienza è il sigillo

          della incontestabile superiorità dell’uomo. Abisso di grandezza e di piccolezza, né
          angelo né bruto, enigma vivente, l’uomo può trovare la spiegazione di se stesso solo
          nella religione. E fra tutte le religioni la cattolica è quella che rende meglio conto
          della nostra natura, in quanto spiega la nostra grandezza con la creazione divina, la
          nostra debolezza col peccato originale e la possibilità del riscatto con la croce di
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