Page 937 - Dizionario di Filosofia
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metodo*.  Dopo  aver  esordito  spiegando  le  ragioni  del  «  dubbio*  metodico  »,  il

          filosofo  mostra  come  dal  dubbio  radicalizzato  fino  a  diventare  iperbolico  resti
          esclusa  la  certezza  della  realtà  del  pensiero,  giacché  «  dubitare  di  pensare  è  già
          pensare ». Dal celebre Cogito, ergo sum si ricava poi, con un passaggio più volte
          discusso  e  contestato,  l’esistenza  della res  cogitans  o  sostanza  pesante  (i  e II
          meditazione). Seguono le prime due prove dell’esistenza di Dio (III meditazione) e la
          tesi  della  necessaria  veracità  divina,  con  la  connessa  teoria  volontaristica

          dell’errore (IV meditazione), la terza prova (quella ontologica) dell’esistenza di Dio
          (v  meditazione),  la  dimostrazione  della  realtà  del  mondo  esterno  e  l’analisi  del
          rapporto fra l’anima e il corpo (VI meditazione). Alle sei meditazioni fanno seguito,
          fin dalla prima edizione, le obiezioni del padre Mersenne, di Hobbes, di Arnauld, di
          Gassendi, di Clerselier, e le risposte di Cartesio.

          Menèsseno o  Il discorso funebre,  dialogo  di  Platone.  L’interlocutore  di  Socrate,
          Menesseno,  è  reduce  dalla  riunione  dell’assemblea  degli  anziani,  convocata  per
          designare  l’oratore  ufficiale  dell’annuale  celebrazione  dei  cittadini  morti  per  la
          patria.  Sfidato  da  Menesseno  a  cimentarsi  in  un  genere  di  eloquenza  che  egli
          notoriamente  non  apprezza,  Socrate  riferisce  il  discorso  composto  a  suo  dire  da
          Aspasia per la stessa circostanza commemorativa. L’orazione funebre consiste in una

          ricostruzione  convenzionale  della  storia  di Atene,  fatta  con  l’intento  di  esaltare  i
          meriti  gloriosi  di  quanti  morirono  per  la  città.  Secondo  Aristotele  il  discorso
          attribuito ad Aspasia sarebbe stato composto da Platone per dimostrare che la sua
          polemica contro i retori non celava una sua presunta incapacità a comporre secondo i
          canoni dell’eloquenza. L’autenticità del dialogo, un tempo ritenuta più che dubbia, è
          oggi universalmente ammessa.

          Menóne o Della virtù (Ménōn, ē perì arêtes), dialogo di Platone, in cui si discute,
          come  nel Protagora  (al  quale  è  di  poco  posteriore),  se  la  virtù  possa  essere
          insegnata.  Gli interlocutori sono, oltre  Menone e  Socrate, Anito, futuro accusatore
          del  filosofo,  e  un  giovane  schiavo  di  Menone.  L’impegno  di  pervenire  a  una
          definizione  soddisfacente  del  concetto  di  virtù  rischia  di  arenarsi  di  fronte

          all’obiezione sofistica di Menone: come potremo accorgerci di aver trovato quello
          che cerchiamo, dal momento che ignoriamo il termine della nostra ricerca? Socrate
          supera  la  difficoltà  proponendo  la  sua  teoria  del  conoscere  come  reminiscenza:
          imparare è ricordare, ritrovare in sé nozioni già apprese dall’anima nelle sue vite
          precedenti. A riprova della sua teoria Socrate, guidandolo con domande opportune,
          fa risolvere al giovane schiavo di Menone un problema di geometria. La verità era
          dunque sepolta nell’anima dello schiavo ignorante e poche domande sono bastate per

          riportarla alla luce.  Il dialogo si conclude con l’affermazione del carattere innato
          della virtû, che è un dono divino, simile all’ispirazione degli indovini e dei poeti. Il
          Menone, composto verosimilmente intorno al 380 a.C., costituisce la premessa dei
          cosiddetti dialoghi costruttivi (Pedone, Simposio, Fedro, Repubblica), nei quali la
          teoria  della  reminiscenza  viene  sviluppata  in  tutte  le  sue  implicazioni  ontologico-
          metafisiche.

          Metafisica, insieme dei quattordici libri di Aristotele che, nell’ordinamento degli
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