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Peraltro la conoscenza è possibile come congettura, e cioè come affermazione
includente sempre un rimando implicito all’assoluto irraggiungibile. Sulla base della
dotta ignoranza si può dunque costruire un’interpretazione del mondo. Esso nella sua
totalità è Dio contratto (contractus), cioè è l’unità e l’infinità di Dio divise e
differenziate nel molteplice. Dio è in tutte le cose e al tempo stesso infinitamente al
di là di esse, in quanto unità indivisibile: Egli, come identità, uguaglianza e
semplicità, è la complicazione (complicatio) del tutto, e in quanto poi la sua identità
si dispiega nella molteplicità, l’uguaglianza nella differenza e la semplicità nella
divisibilità, è parimenti l’esplicazione (explicatio) del tutto. C’è dunque una sorta di
duplice rimando da Dio alle cose e dalle cose a Dio, che si realizza mediante lo
spirito di Dio o Spirito Santo. Il Cusano sviluppa da queste premesse una nuova
cosmologia, ricca di anticipazioni e di suggestioni che saranno molto presto raccolte:
il mondo non ha un centro e un limite esterno, come riteneva Aristotele, ma il suo
centro è dappertutto e la sua circonferenza in nessun luogo, « perché circonferenza e
centro sono Dio, che è dappertutto e in nessun luogo »; la Terra non è il centro del
mondo, non è perfettamente sferica, non è fatta di una sostanza differente da quella
degli astri, e si muove, ma di un movimento non perfettamente circolare. In alcuni
passi del II libro si possono anche cogliere formulazioni non equivoche del principio
di gravità e del principio di inerzia. Il libro III è dedicato prevalentemente
all’interpretazione metafisica della funzione mediatrice del Cristo.
Defensor pacis (Il difensore della pace), titolo della principale opera di Marsilio
da Padova, scritta intorno al 1324 e teorizzante la superiorità del potere statale su
quello spirituale, e l’origine popolare dell’autorità dell’imperatore, che veniva così
sottratto alla consacrazione pontifìcia. L’occasione dell’opera fu il conflitto tra
Giovanni XXII e Ludovico il Bavaro.
De finibus bonorum et malorum (I termini del bene e del male), trattato filosofico
di Cicerone, in cinque libri, composto nel 45 a.C. e dedicato a Marco Bruto.
L’interessante problema in discussione riguarda la determinazione del bene sommo,
apportatore agli uomini della vera felicità, e si svolge in tre dialoghi collocati in tre
luoghi distinti (Cuma, Tuscolo e Atene), in ciascuno dei quali l’autore ha
interlocutori diversi. Nel primo di essi (l. I-II), Manlio Torquato, rigorosamente
confutato da Cicerone, espone la concezione epicurea che il sommo bene va riposto
nel piacere (in voluptate); nel secondo (l. III-IV), Catone l’Uticense, pure oggetto di
obiezioni da parte di Cicerone, sostiene il principio stoico che la felicità consiste
nella virtù, intesa come pratica di vita conforme alle norme della ragione naturale
(secundum naturam). Nell’ultimo (l. v), infine, Pupio Pisone, esponendosi anche lui
a qualche critica, illustra l’opinione degli accademici e dei peripatetici, per i quali
l’uomo, composto di materia e di spirito, raggiunge il sommo bene attraverso la
salute del corpo e la perfezione dell’anima. Nonostante qualche errore di
interpretazione e talune deficienze nella parte critica, l’opera è notevole per
ricchezza di notizie e chiarezza espositiva.
Degli eroici furori, opera di Giordano Bruno, pubblicata a Londra nel 1585.
Costituita di dieci dialoghi, descrive con tono esaltato e poetico il momento più alto