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in  sé.  Ora,  è  l’essere  ragionevole  che  esiste  come  fine  in  sé;  donde  una  nuova

          formula dell’imperativo: « Agisci in modo tale da trattare sempre l’umanità, in te e
          negli altri, come fine e mai come mezzo ». Il regno dei fini sarebbe quello « in cui
          ogni cittadino sarebbe insieme legislatore e suddito ». Di qui la terza formula del
          dovere: « Agisci come se tu fossi legislatore e suddito nel regno delle volontà libere
          e ragionevoli ». Il solo movente deve essere il rispetto della legge. A questi principi
          generali  della  ragion  pratica  sono  legati  alcuni postulati:  quello  della libertà,

          condizione  della  moralità;  quello  dell’immortalità  dell’anima,  necessaria  per  il
          compimento  della  virtû;  quello dell’esistenza di  Dio,  il  quale,  autore  della  legge
          morale e delle leggi naturali, assicurerà l’unione finale della felicità e della virtû. La
          Critica  della  ragion  pratica  conclude,  se  non  nella conoscenza  speculativa  di
          queste  realtà  trascendenti,  almeno  nella fede  in  esse.  E  per  tale  conclusione  il
          criticismo  di  Kant,  fino  a  questo  momento agnostico,  approda  a  prospettive
          metafisiche.

          Critica della ragion pura (Kritik der reinen Vernunft), l’opera fondamentale della
          filosofia di Kant, alla quale lavorò tra il 1770 e il 1781, pubblicata una prima volta a
          Riga  nel  1781  e  uscita  in  una  seconda  edizione  ampiamente  riveduta  nel  1787.  Il
          problema  trattato  è  quello  della  conoscenza;  secondo  Kant,  le  maggiori  filosofìe

          tradizionali, il razionalismo e l’empirismo, non hanno saputo giustificare appieno il
          giudizio conoscitivo. Il razionalismo, infatti, movendo da una concezione innatistica,
          pur giustificando il conoscere come fatto a priori e quindi necessario e universale,
          non riesce a spiegare come il sapere abbia poi una capacità espansiva e creativa;
          l’empirismo,  a  sua  volta,  partendo  dal  presupposto  che  la  conoscenza  deriva
          unicamente dall’esperienza, se riesce a giustificare la capacità espansiva del sapere,
          non riesce poi a dimostrare come questo sia universale e necessario. Kant ritiene che

          il  giudizio  possa  essere  considerato  valido  solo  quando  ne  sia  garantita  la
          universalità e la necessità intrinseca, e sia perciò a priori, e nello stesso tempo ne
          sia  anche  dimostrata  la  capacità  espansiva,  la  fecondità,  e  sia  cioè sintetico.  Si
          propone quindi di esaminare il sapere: se esso è basato su giudizi sintetici a priori
          allora, e solo allora, si tratterà di un sapere del tutto valido. Quindi ricostruisce i
          successivi  momenti  della  conoscenza;  il  primo  è  quello  della sensibilità, studiato

          nell’estetica  trascendentale  e  caratterizzato  dal  fatto  che  la  sensibilità  è  attività
          intuitiva spazio-temporalizzatrice. Pertanto lo spazio e il tempo sono le pure forme a
          priori della sensibilità, mediante le quali tutto si costituisce nello spazio e nel tempo,
          i  quali  non  sono  ricavati  dall’esperienza,  ma  sono  una  pura  condizione  perché
          l’esperienza  possa  costituirsi;  la  geometria  e  la  matematica  sono  le  due  scienze
          appunto  costruite  mediante  queste  attività a  priori.  Il  momento  successivo  della
          conoscenza  è  quello dell’intelletto  studiato nell’analitica  trascendentale;  anche

          l’intelletto  è  attività  che  opera  secondo  pure forme  a  priori  o categorie  (causa-
          effetto, sostanza-accidente, ecc.), che organizzano e sistemano ciò che la sensibilità
          ha già disposto nello spazio e nel tempo. La fisica e le scienze naturali sono appunto
          il  prodotto  di  questa  attività  dell’intelletto  e  pertanto  sono  scienze  rigorosamente
          valide  perché  basate  su  giudizi sintetici  a  priori:  sintetici  in  quanto  attraverso
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