Page 898 - Dizionario di Filosofia
P. 898

spunto da scritti filosofici del suo tempo, riesamina con acume e libertà d’analisi i

          momenti più salienti della storia del pensiero antico e moderno, confutando da un
          punto di vista hegeliano sia il teologismo cattolico del Rosmini sia il materialismo
          positivistico.
          De  anima  (Perì  psychês)  [Dell’anima],  opera  di  Aristotele,  in  tre  libri,  la  più

          importante trattazione del filosofo sul problema dell’anima. Conformemente alla sua
          dottrina fisica, imperniata sulla distinzione tra materia e forma, ovvero tra potenza e
          atto, Aristotele  ritiene  l’anima  «  forma  di  un  corpo  naturale  che  abbia  la  vita  in
          potenza ». Essa svolge tre tipi di attività, vegetativa, sensitiva e intellettiva, le prime
          due  in  comunicazione  con  il  corpo,  la  terza  separatamente  da  esso.  L’anima
          intellettiva (nûs) a sua volta presenta due aspetti distinti: per il primo è simile ai
          sensi in quanto pura potenzialità, vuota di contenuti e passibile in ogni momento di

          riceverli tutti (nûs pathetikós); per il secondo invece se ne differenzia totalmente e
          funziona come principio attivo (nûs poietikós) rispetto ai dati forniti dall’intelletto
          possibile: come tale l’anima è il luogo delle forme (ho tópos eidôn) e mostra la sua
          affinità con l’Atto puro. E appunto quando l’uomo, valendosi dell’intelletto attivo,
          conosce scientificamente la realtà (ovvero « filosofa »), cioè coglie per astrazione*
          le  essenze  intelligibili,  partecipa  all’unica  forma  d’immortalità  che  Aristotele

          sembra  riconoscergli.  La  teoria  aristotelica  dell’intelletto  come  forma,  cui  è
          necessaria  la  materia  per  esistere  (salvo  che  per  l’intelletto  attivo)  e  che  quindi
          come la materia pare corruttibile, e insieme l’esigenza religiosa (cristiana, ebraica e
          islamica)  di  conciliare  la  dottrina  platonica  dell’anima  come  sostanza  con  la
          psicologia aristotelica, hanno posto ai commentatori medievali una serie di problemi
          (principalmente quello dell’immortalità dell’anima) che furono risolti nelle tendenze
          fondamentali del tomismo*, dell’alessandrismo* e dell’averroismo*.

          De anima (L’anima), opera di Tertulliano composta probabilmente fra il 210 e il
          213.  Polemizzando  contro  gli  gnostici  e  i  filosofi,  tratta  dell’unità,  dell’origine  e
          dell’essenza  dell’anima:  essa  è  immortale,  unica,  razionale;  ma  all’anima  (come
          forse  a  Dio)  egli  attribuisce  la  corporeità  e  la  trasmissibilità  dai  genitori  ai  figli

          (traducianismo). Si tratta forse del primo abbozzo di psicologia su basi cristiane,
          svolto con l’originalità e la libertà consuete all’apologeta cartaginese.
          De beneficiis (I benefici),  trattato  in  sette  libri  di  Seneca,  che  lo  compose  negli
          ultimi  anni  della  sua  vita.  In  esso  è  svolta  un’ampia  trattazione  sulla  natura  del
          beneficio, della riconoscenza e dei modi dell’ingratitudine, seguita da una varia e

          circostanziata casistica. Il motivo più interessante consiste nell’esigenza sociale che
          chi  possiede  dia  a  chi  non  ha  nulla  e  nella  rivalutazione  della  personalità  degli
          schiavi.
          De cive (Del cittadino), opera di  Thomas  Hobbes, parte di una trilogia di scritti

          filosofici (De corpore, De homine, De cive), pubblicata per la prima volta a Parigi
          nel 1642 e nell’edizione definitiva a Londra nel 1651. L’autore tratta dei problemi
          morali, del diritto, della società, dei compiti del sovrano e della necessità che anche
          l’autorità  della  Chiesa  si  adegui  all’autorità  civile.  In  base  alla  sua  visione
   893   894   895   896   897   898   899   900   901   902   903