Page 89 - Dizionario di Filosofia
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Professore  di  filosofia  della  storia  nell’università  di  Roma  dal  1947  alla  morte.

          Seguace dello storicismo crociano, ne ha verificato la validità metodologica nello
          studio  di  problemi  storici  particolari  e  ha  cercato  di  dargli  uno  sviluppo
          sottolineando l’importanza della categoria del vitale.  Opere: Dallo storicismo alla
          sociologia  (1940), La lotta contro la ragione  (1942), Considerazioni su  Hegel e
          Marx  (1946), Commento a  Croce  (1955), La restaurazione del diritto di natura
          (1959).

          ANTROPOLOGÌA.  Dal  punto  di  vista  filosofico,  conoscenza  dell’uomo,  nei  suoi
          caratteri essenziali. Come « scienza dell’uomo » o « della natura umana » è stata
          delineata dai filosofi scozzesi dell’illuminismo su basi empiriche, in particolare da
          Hume. Successivamente Kant ha inteso l’antropologia ccme una psicologia razionale,
          ha  introdotto  il  termine  stesso  nella  tematica  filosofica  e  l’ha  distinta  in teorica,
          studio  dell’uomo  e  delle  sue  facoltà, prammatica, che garantisce le condizioni di

          sviluppo dell’uomo e morale, che definisce i mezzi con cui conseguire la dimensione
          del sapere filosofico.
          •  Antropologia  culturale.  La  denominazione  stessa  di  questa  scienza,  che
          originariamente  apparve  soprattutto  come  una  derivazione  di  modesto  raggio
          dell’inglese anthropology (antropologia nel senso più ampio, comprensivo di tutte le

          «  scienze  umane  »,  inclusa  l’etnologia),  va  affermandosi  anche  nei  paesi  non
          anglosassoni e tende a imporsi, per designare lo studio dell’uomo che si avvale dei
          risultati  delle  indagini  biologiche,  psicologiche,  filosofiche,  etnologiche,
          sociologiche, ecc., per affrontare le caratteristiche dei comportamenti e delle culture.
          A questo fenomeno corrisponde, coerentemente, una maggiore elasticità o addirittura
          un’abolizione  delle  barriere  fra  scienze  naturali  e  fenomenologia  e  storia  delle
          culture umane. È in certa misura un ritorno al passato, all’antica nozione aristotelica
          dell’antropologia come scienza dell’uomo nella sua interezza. Separata come scienza

          naturale in senso stretto dalle altre scienze dell’uomo o « scienze umane » verso la
          metà  del XIX  sec.,  l’antropologia  riacquista  con  l’attributo culturale  una  globalità
          non casuale, richiesta da esigenze di tipo politico, filosofico, scientifico nel senso
          più  rigoroso  della  parola.  Il  contributo  forse  più  vistoso  a  questo  sviluppo  della
          disciplina è stato fornito, oltre che da autori come Lévy-Bruhl e Malinowski, dagli

          antropologi  di  indirizzo  strutturalistico,  e  in  particolare  dal  capofila  di  questo
          orientamento metodologico e ideologico, C. Lévi-Strauss. Parallelamente, e spesso
          con  interferenze  quanto  al  campo  della  ricerca  e  alle  modalità  dei  procedimenti
          d’indagine, è intervenuta la semiotica, affiancando o contrapponendo al concetto di «
          struttura  »  quello  di  «  segno  »,  quale  elemento  fondamentale  delle  manifestazioni
          umane in ogni ambito del comportamento. L’una e l’altra linea di ricerca trovano,
          inoltre,  luogo  di  ripensamento  e  sovente  di  elaborazione  dialettica  nella

          problematica più recente dell’epistemiologia generale, delle indagini sul concetto,
          sui limiti, sulle modalità e sulle funzioni del conoscere scientifico. Da questo punto
          di  vista  è  fondamentale  nello  sviluppo  in  prospettiva  dell’antropologia  l’apporto
          della  logica  e  in  genere  del  pensiero  matematico,  sebbene  questi  influssi
          apparentemente  esterni  sulle  scienze  umane  restino  ancora  problematici  e  spesso
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