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lavoratori e datori di lavoro.

          Caratteri (I) [gr. Ēthikòi charaktêres], operetta di Teofrasto, composta verso il 319
          a.C. Essa è costituita da una raccolta di trenta bozzetti di tipi umani (il simulatore,
          l’adulatore,  il  chiacchierone,  lo  spaccone,  ecc.),  schizzati  in  forma  succinta  e,
          spesso, aneddotica. Forse derivante da un trattato più ampio dello stesso autore, la

          raccolta  può  essere  considerata  una  testimonianza  degli  studi  di  psicologia  della
          scuola peripatetica. Il suo campo di osservazione è senza dubbio piuttosto limitato,
          ma  i  piccoli  ritratti  delle  goffaggini  e  dei  vizi  umani  valgono  per  la  finezza
          dell’analisi e la delicatezza delle descrizioni. Quest’operetta venne ripubblicata nel
          1688  da  Jean  de  la  Bruyère,  che  nelle  edizioni  successive  la  arricchì  con  altre
          considerazioni, commenti e nuovi ritratti.

          Caratteristiche  degli  uomini,  dei  costumi,  delle  opinioni,  dei  tempi
          (Characteristics  of  Men,  Manners,  Opinions,  and  Times),  titolo  con  cui  lo
          Shaftesbury pubblicò nel 1711 i cinque scritti più importanti da lui composti tra il
          1699 e il 1711. L’argomento è costituito da una ricca e varia serie di considerazioni
          di  carattere  etico  ed  estetico,  da  cui  emerge  con  particolare  sistematicità

          l’ispirazione  platonica  dell’autore,  tendente  a  dimostrare  l’armonia  che  lega
          indissolubilmente la moralità e l’arte e, più in generale, la natura e l’arte.
          Càrmide  (Charmídēs),  dialogo  di  Platone,  del  gruppo  giovanile,  dedicato  alla
          ricerca di una definizione della saggezza, in cui sono interlocutori Crizia, Carmide e
          Cherefonte.  Dopo  diverse  definizioni,  che  Socrate  rifiuta  l’una  dopo  l’altra,  il

          dialogo arriva alla conclusione che la saggezza è difficile da analizzare e ancor più
          da definire. Carmide lo confessa e si rimette al maestro per apprendere che cosa sia
          questa virtù e, soprattutto, che cosa convenga fare per conquistarla.
          Caso e la necessità (IL), [Le Hasard et la necessité], opera (1970) di J. Monod,

          autorità mondiale nel campo della biologia molecolare. Partendo dal riconoscimento
          della  oggettività  della  natura  e  dei  suoi  prodotti,  distinti  perciò  dagli  oggetti
          artificiali  progettati  dall’uomo,  Monod  definisce  come  proprio  del  metodo
          scientifico il rifiuto di qualunque ipotesi o proiezione antropocentrica, che applichi
          cioè alla natura leggi « soggettive », ricavate in qualche misura dalle caratteristiche
          o dalle propensioni degli uomini in quanto ricercatori. Su questo presupposto si può
          fondare una vera etica della conoscenza, profondamente distinta dalle contaminazioni

          tra etica e scienza, che confondono le categorie di valore con quelle di conoscenza.
          Questo atteggiamento oggettivistico consente lo studio adeguato della biosfera, al di
          fuori di condizionamenti animistici o deterministici. Da un punto di vista generale il
          problema  filosofico  che  la  biologia  pone  è  la  contraddizione  tra  oggettività  della
          natura  e  quella  che  è  la  caratteristica  essenziale  degli  esseri  viventi,  la  loro
          teleonomia, vale a dire l’essere dotati di un progetto finalisticamente orientato. Per

          Monod la soluzione della questione può essere raggiunta nell’ambito della biologia
          molecolare, riconducendo i caratteri finalistici dei fenomeni vitali alla loro struttura
          chimica  e  alle prestazioni  di  cui  sono  capaci,  rifacendosi  sostanzialmente  alle
          recenti teorie del codice genetico.
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