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Rossi, Le sterminate antichità: studi vichiani,  Pisa  1969;  Aa.  Vv., Giambattista

          Vico: an international symposium, a cura di A. Tagliacozzo, Baltimora 1969.
          Vienna (CIRCOLO DI). Denominazione di un gruppo di filosofi e di scienziati facenti
          capo  direttamente  o  indirettamente  all’università  di  Vienna  e  uniti  dall’interesse
          comune  per  i  problemi  della  logica  e  del  linguaggio  scientifico.  Atto  di  nascita

          ufficiale  del  circolo  è  considerata  la  pubblicazione  (1929)  dell’opuscolo
          Wissenschaftliche Weltauffassung. Der Wiener Kreis (Concezione scientifica del
          mondo. Il circolo di Vienna), avvenuta nel 1929. Il gruppo di studiosi era guidato da
          M.  Schlick e comprendeva, fra gli altri,  K.  Gödel,  F.  Waismann,  O.  Neurath e  R.
          Carnap. A  essi  vanno  aggiunti  gli  studiosi  del  «  circolo  di  Berlino  »,  fra  i  quali
          principalmente  H.  Reichenbach.  Collegato  con  il  movimento  viennese  fu  anche  L.
          Wittgenstein. Organo del circolo fu la rivista Erkenntnis (Conoscenza), che uscì dal

          1930 al 1937. Nel 1938, con l’unione dell’Austria alla Germania nazista e l’inizio
          delle persecuzioni razziali, il circolo si disperse. La maggior parte dei suoi aderenti
          emigrò negli Stati Uniti, dove il gruppo mantenne una relativa coesione e influenzò
          profondamente  la  cultura  filosofica  americana.  Le  tesi  fondamentali  della  scuola
          sono:  l’identificazione  della  filosofia  con  l’analisi  del  linguaggio  scientifico;
          l’affermazione  che  sono  proposizioni  significative  solo  gli  enunciati  fattuali,

          empiricamente  verificabili;  la  riduzione  dei  problemi  filosofici  tradizionali  a
          pseudoproblemi. (V. anche NEOPOSITIVISMO.)
          VIRTÙ.  Socrate  identifica  la  virtù  con  il  sapere,  che  è  la  condizione  necessaria  e
          sufficiente  del  retto  operare.  Platone  sostiene  su  questa  linea  l’insegnabilità  della
          virtù  e  la  fondamentale  unità  delle  virtù  particolari,  che  tutte  si  presuppongono  a
          vicenda e tutte rimandano al sapere come conoscenza del bene. Aristotele e gli stoici

          introducono nel concetto di virtù la nota dell’« abito », inteso come disposizione
          stabile  a  operare  in  un  certo  modo,  che  viene  acquisita  e  consolidata  attraverso
          l’esercizio.  Aristotele  distingue  le  virtù dianoetiche,  relative  alla  conoscenza  in
          quanto  tale,  da quelle etiche,  le  quali  derivano  dalla  disciplina  razionale  degli
          impulsi, attuata nella vita individuale e sociale applicando il criterio del « giusto

          mezzo  ».  Rousseau  e  Kant  contrappongono  alla  nozione  illuministica  della  virtù
          come inclinazione spontanea a fare il bene quella della virtù come tensione e sforzo.
          Secondo Kant, se la volontà umana si conformasse spontaneamente e senza lotta alla
          legge morale, avremmo la condizione della santità: possibile per l’uomo è invece
          solo  la  virtù,  che  si  realizza  in  quanto  l’intenzione  morale  lotta  coraggiosamente
          contro  le  inclinazioni  e  gli  impulsi.  Nella  filosofia  tedesca  romantica  e
          postromantica, se fu da un lato ripresa e sviluppata contro il rigorismo kantiano la
          suggestione schilleriana di una possibile armonia fra istinto e ragione, prevalse con

          Hegel e con  Marx la tendenza a vedere la piena realizzazione dell’uomo, al di là
          delle tensioni della coscienza individuale, nell’ordine oggettivo della società e dello
          Stato.  Nel  rovesciamento  dei  valori  operato  da  Nietzsche  la  virtù  consiste
          nell’assecondamento  degli  impulsi  vitali  e  nel  fare  proprio  ciò  che  è  vietato  dai
          precetti della morale tradizionale. La filosofia contemporanea, e particolarmente la

          scuola assiologica, ponendo in primo piano l’esigenza di una fondazione oggettiva
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