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quali Swift, Pope, Gay e Young. Il frutto più diretto di quelle esperienze furono le
Lettere filosofiche* o Lettere sugli Inglesi, pubblicate in inglese nel 1733 e in
francese nel 1734. Il periodo immediatamente successivo al ritorno dall’Inghilterra e
gli anni trascorsi a Cirey, ospite della sua amante marchesa du Châtelet, videro
Voltaire impegnato in una, attività intellettuale, soprattutto letteraria, intensissima.
Nel 1745 fu ricevuto a corte dal re e l’anno seguente fu accolto fra gli « immortali »
dell’Accademia. La morte della marchesa di Châtelet (1749) e la stima tiepida e
condizionata del re e della Pompadour lo indussero in seguito ad accettare l’invito
del re di Prussia) Federico II, presso il quale visse tre anni (1750-1753), portando a
termine il Secolo di Luigi XIV (1751) e scrisse il racconto Micromega (1752).
Venne poi l’urto fra le due forti personalità e alla rottura definitiva contribuì anche
l’inimicizia del Maupertuis, fatto dal re presidente dell’Accademia di Berlino e
ferito da Voltaire con gli strali velenosi della Diatriba del Dottore Akakia medico
del papa. Tornato non senza difficoltà dalla Prussia, il filosofo si stabilì nel
territorio di Ginevra (1755), dove aveva comperato la tenuta detta « Les Délices ».
Uscirono in quegli anni La pulzella* (1755), il Saggio sui costumi e lo spirito delle
nazioni* (1756). La simpatia dimostrata in questo ultimo scritto per Miguel Servet,
il dissidente fatto bruciare da Calvino a Ginevra, gli fece conoscere una Svizzera
meno tollerante e « ragionevole » di quella che egli aveva in principio
entusiasticamente salutato. Incupito dalle delusioni (il romanzo Candido*, satira
dell’ottimismo filosofico, è del 1759), cercò rifugio in Francia e lo trovò
acquistando la villa di Ferney, a pochi passi dal confine. Qui visse per venti anni
circondato da una piccola corte personale e divenuto ormai « il patriarca di Ferney
», riverito dai potenti d’Europa e visitato da innumerevoli ammiratori. Con energia
indomabile scrisse ancora satire, opere teatrali, racconti filosofici e libelli, diretti
soprattutto allo scopo di « écraser l’infâme », di schiacciare cioè il fanatismo e
l’intolleranza della Chiesa cattolica; denunciò con interventi appassionati le
insufficienze dell’apparato giudiziario; continuò a lottare per il trionfo della « raison
» con opere memorabili, come il Trattato sulla tolleranza (1763) e il Dizionario
filosofico* (1764); intrattenne una vastissima corrispondenza (circa 20.000 lettere),
confortando la vittima della sorte e delle ingiustizie e dimostrandosi sempre un abile
gestore dei propri beni e della propria gloria. Chiamato a Parigi nel 1778 per una
rappresentazione della sua tragedia Irene, vi morì in mezzo al frastuono delle
accoglienze trionfali. Voltaire scrittore ha dato il meglio di sé nelle opere storiche,
delle quali la cultura moderna apprezza sempre più la forza innovatrice, negli scritti
polemici e nell’epistolario. Su Voltaire filosofo è un luogo comune d’obbligo la
premessa che a lui non si deve nessun reale avanzamento del pensiero e che il suo
mondo concettuale è interamente costruito con materiali tratti da Locke, Bayle,
Clarke, Shaftesbury, Newton. E tuttavia le intenzioni riduttive implicite in
osservazioni di questo genere vanno accolte con qualche cautela e riserva. In primo
luogo Voltaire è una sorta di archetipo della funzione dell’uomo di lettere nella
società moderna, un punto di riferimento obbligato dinanzi alle tentazioni del silenzio
e del disimpegno. In secondo luogo egli riassume in sé e vive come nessun altro i