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norme imposte dalla ragione sono caratteristiche del pensiero greco classico,
ereditate dal neoplatonismo e dalla scolastica fino a san Tommaso. Enrico di Gand
(XIII sec., nel solco di una tradizione mistica e antintellettualistica mai interrotta del
tutto nella storia del cristianesimo, afferma il primato della volontà sull’intelletto,
dell’amore sulla sapienza. Agli inizi del XIV sec. Duns Scoto identifica l’essenza
divina nella volontà e sostiene che questa è condizionata nelle sue scelte solo da se
stessa. Poco dopo Guglielmo di Occam cancella ogni residuo di distinzione fra
intelletto e volontà e presenta l’azione di Dio come assolutamente indeterminata e
gratuita: perfino odiare Dio potrebbe divenire atto meritorio, se l’imperscrutabile
volontà divina prescrivesse un tale comportamento. Anche per Cartesio le verità
della geometria sono tali solo perché così ha « voluto » Dio: se egli avesse scelto le
proposizioni opposte, esse sarebbero state altrettanto necessarie e legittime.
Nell’attività conoscitiva dell’uomo l’affermare e il negare dipendono da un atto di
volontà e l’errore è prodotto dall’assenso incautamente concesso (teoria
volontaristica dell’errore). La nota tesi kantiana del primato della ragione pratica si
colloca anch’essa nella storia del volontarismo. Con Schopenhauer, Nietzsche,
Bergson, Blondel, Dilthey, James, ecc. la posizione volontaristica, mentre esprime
tutto il suo potenziale eversivo e rinnovatore, lascia anche emergere le implicazioni
talvolta torbide del suo antintellettualismo.
• Il volontarismo come orientamento della psicologia sceglie a ipotesi di lavoro la
tesi fondamentale del volontarismo filosofico. Si assume così che tutti i fatti psichici
abbiano una struttura analoga agli atti di volontà: essi rivelano una situazione di
carenza e di disagio e tendono al suo superamento. Questo schema si ritrova in
Wundt, in Fouillée, in James e in genere negli studiosi che hanno più o meno risentito
dell’influenza del pragmatismo.
VOLTAIRE (François Marie AROUET, detto), scrittore e filosofo francese (Parigi
1694-1778). Ultimo dei cinque figli di un notaio parigino, dal 1704 al 1711 studiò
presso i gesuiti, dando prova di un ingegno precocissimo. In seguito fu introdotto dal
suo padrino nella società parigina, che il giovane conquistò col suo spirito mordace
e brillante. Preoccupato per questi successi sospetti, il padre cercò di avviarlo
all’avvocatura e poi alla carriera diplomatica, ma dovette farlo rientrare subito
dall’Aia, per tagliare corto a una avventura amorosa. Alcuni versi irriverenti, diretti
in particolare contro il reggente Filippo d’Orléans, costarono al giovane Arouet un
anno di detenzione alla Bastiglia (1717-1718). Il successo dell’Edipo, rappresentato
nel 1718, e del poema La Lega (1723), nel quale ultimo l’imprudente autore esaltava
i protagonisti protestanti delle guerre di religione, gli procurò protezioni e pensioni,
ma anche nuove inimicizie di potenti. Arricchitosi frattanto attraverso speculazioni
fortunate e ormai noto col nome di Voltaire (anagramma di Arouet le Jeune), lo
scrittore incorse nelle ire del cavaliere di Rohan, offeso dai suoi sarcasmi. Il nobile
lo fece bastonare dai servi e riuscì a farlo rinchiudere di nuovo nella Bastiglia
(1726). Voltaire ottenne la liberazione solo a patto di andare in esilio in Inghilterra.
Il soggiorno inglese (1726-1728) fu un periodo di fondamentale importanza nella
formazione di Voltaire, che frequentò filosofi come Berkeley e Clarke e scrittori