Page 859 - Dizionario di Filosofia
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nella Metafisica dice testualmente che la verità consiste « nell’affermare quello che

          è e negare quello che non è ». Le idee isolatamente pensate non sono perciò né vere
          né  false:  la  possibilità  della  verità  (e  dell’errore)  sorge  solo  quando  si  afferma
          qualcosa di qualcosa, e cioè quando le nozioni vengono connesse nella relazione del
          giudizio. Lo stoicismo e l’epicureismo introdussero entro questa cornice concettuale
          il  problema  del  «  criterio  di  verità  »,  vale  a  dire  dell’individuazione  di
          un’esperienza  privilegiata,  da  assumere  come  canone  del  vero  e  del  falso.  San

          Tommaso, affermando che la verità è « l’adeguazione dell’intelletto e della cosa »,
          fa  propria  la  nozione  della  verità  come  corrispondenza.  Sotto  l’incalzare  delle
          critiche  a  cui  varie  correnti  del  pensiero  moderno  (empirismo,  idealismo,  ecc.)
          hanno  sottoposto  la  nozione  di  oggettività,  il  problema  della  verità  è  stato  anche
          impostato rinunciando alla garanzia della conformità del pensiero a una sua misura
          esterna. La verità viene allora fatta consistere in una congruenza del pensiero con i
          suoi  principi,  o  nella  coerenza  o  assenza  di  contraddizione.  Kant,  per  es.,  mentre

          accetta  come  «  definizione  nominale  »  della  verità  quella  tradizionale  della
          corrispondenza  della  rappresentazione  con  la  cosa,  introduce  come  criterio  della
          verità in generale la conformità del pensiero alle leggi necessarie dell’intelletto. Ma
          la formulazione forse più rigorosa della verità come coerenza si trova in Spinoza.
          Tutte le idee sono in rapporto di connessione e quest’ordine si identifica (idem est)
          con quello delle cose: tuttavia l’intuizione della coerenza dell’ordine ideale basta a

          se stessa. Anche in Hegel la verità è interna all’idea e al suo movimento. Presente in
          tutti  i  momenti  del  processo  dialettico,  essa  è  «  figlia  del  tempo  »  (secondo
          l’aforisma  antico  tante  volte  ripetuto  nel  Rinascimento),  non  nel  senso  che  sia
          relativa, ma in quanto è un organismo che si costituisce attraverso fasi di sviluppo
          necessarie.  Secondo  un  altro  filone  di  pensiero  la  verità  è  una  «  rivelazione  »,
          appoggiata o no su premesse teologicoreligiose. Per la patristica l’uomo, « tempio di
          Dio  »  e  luogo  in  cui  abita  lo  Spirito,  è  per  ciò  stesso  portatore  della  verità.

          L’indagine interiore porta alla luce tale deposito, che, come dice sant’Agostino, è «
          più intimo dell’intimità mia ». A questa tradizione si ricollega la norma cartesiana
          dell’evidenza. Anche per Husserl la verità delle essenze « si rivela » nell’evidenza
          del loro presentarsi a una mente già resa libera e ricettiva dalla epoché*. Heidegger
          ritrova a sua volta nell’etimologia della parola greca che significa verità la conferma

          del fatto che l’uomo ha sempre vissuto l’esperienza autentica della verità come un «
          disvelamento ». Tipica del pragmatismo è invece la riduzione della verità a utilità:
          un’idea è vera se serve praticamente, e cioè se accresce i poteri dell’uomo e rende
          più agevole e feconda la vita.
          • Doppia verità, formula in uso nella scolastica latina per designare una particolare
          dottrina di Averroè*, secondo la quale, mentre la religione del filosofo si identifica
          con  la  ricerca  razionale,  quella  del  volgo  è  fatta  solo  di  credenze  pratiche
          immediate. In realtà per Averroè la verità è una, manifestantesi attraverso due vie

          diverse.  In  seguito,  con  gli  averroisti  del  xv  sec.,  il  ricorso  alla  doppia  verità
          divenne un espediente opportunistico per evitare i rigori ecclesiastici: il filosofo si
          cautelava professando pubblicamente la sua fede nel contrario di quello che aveva
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