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(divenuto poi, in successive rielaborazioni, De vero bono e quindi De vero falsoque

          bono), in cui si dimostra che la istintiva inclinazione dell’uomo al piacere non è in
          contrasto con la morale cristiana.  Nel 1435 poté trovare impiego come segretario
          presso Alfonso d’Aragona. Mentre era al servizio del re portò a termine nel 1439 il
          De  libero  arbitrio  e  nel  1440  i  tre  libri  delle Dialecticae  disputationes,  severa
          condanna  delle  sottigliezze  degli  aristotelici.  Compose,  sempre  in  latino,  anche  il
          celebre  scritto Della  falsa  donazione  di  Costantino,  nel  quale  dimostrò  che  la

          pretesa  donazione  di  Costantino  era  un  documento  artefatto,  e  il  dialogo De
          professione religiosorum,  contro  la  vita  monastica.  Questi  scritti  gli  procurarono
          accuse  di  eresia  per  le  quali  fu  sottoposto  a  procedimento  inquisitoriale;  assolto,
          scrisse un’Apologia a Eugenio IV. Nel periodo napoletano oltre a tradurre Esopo,
          Senofonte,  Omero,  scrisse  la  maggiore  delle  sue  opere, Elegantiarum  linguae
          latinae libri sex, divulgata già nel 1444.

          Bibliogr.:  Scritti  filosofici  e  religiosi,  a  cura  di  M.  Radetti,  Firenze  1953;  G.
          Mancini, Vita di Lorenzo Valla, Firenze 1891; W. Schwahn, Lorenzo Valla, Berlino
          1896; F. Gaeta, Lorenzo Valla. Filologia e storia nell’umanesimo italiano, Napoli
          1955;  G.  Zippel, Lorenzo  Valla  e  le  origini  della  storiografia  umanistica  a
          Venezia, « Rinascimento », 1956.

          VALLETTA (Giuseppe), erudito e filosofo italiano (Napoli 1636-1714).  Fornito di
          larghi mezzi, contribuì alla rinascita degli studi filosofici a Napoli con la formazione
          di una biblioteca di circa 18.000 volumi, che aprì al pubblico e che fu frequentata,
          tra gli altri, da G. B. Vico. A sue spese istituì una cattedra di greco nell’università di
          Napoli. Fu assertore della filosofia cartesiana, che difese dalle accuse di empietà in

          una Lettera  pubblicata  postuma  (1732).  Scrisse  una  storia  della  filosofia  (Istoria
          filosofica, postuma, 1716).
          VALORE. Dalla metà del XIX sec., per influenza del neocriticismo* e di Nietzsche, la
          nozione  di valore,  già  tipica  della  scienza  economica,  ha  sostituito  nell’uso
          filosofico  quella  più  tradizionale  di  bene*.  Sulla  questione del  tipo  di  realtà  da

          attribuire  ai  valori  si  è  riprodotta  la  stessa  frattura  già  verificatasi  fin  dall’etica
          classica a proposito del bene. Da un lato alcune tendenze filosofiche, per garantire
          l’assolutezza  e  l’immutabilità  dei  valori,  postulano  per  essi  un  modo  di  esistenza
          intemporale  e  sovrastorico,  che  li  apparenta  di  volta  in  volta  o  alle  forme
          trascendentali kantiane (Windelband, Rickert e in genere la scuola di Baden*) o alle
          idee platoniche (Hartmann, Le Senne nella cui metafisica appunto Dio non è l’essere,
          ma il valore, ecc.). Anche quando, come nel caso di M. Scheler, l’apprezzamento dei

          valori è affidato a organi quali l’intuizione o il sentimento, restano tuttavia ferme
          l’oggettività e la disposizione gerarchica di essi. D’altro canto, sotto l’influenza di
          Nietzsche, si è affermata in alcune correnti della filosofia tedesca fra il XIX e il XX
          sec. l’esigenza della storicizzazione e relativizzazione dei valori (Dilthey, Simmel,
          ecc.).  Le  numerose  versioni  dello  storicismo,  da  Troeltsch  a  Meinecke,  a  Croce,

          sono  anche  in  larga  misura  tentativi  di  rendere  compatibile  l’assolutezza  con  la
          storicità  dei  valori,  e  cioè  di  intendere  la  natura  ambigua  di  enti  che  cessano  di
          esistere  in  quanto  tali  se  vengono  del  tutto  relativizzati  e  d’altra  parte  diventano
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