Page 841 - Dizionario di Filosofia
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sgg.;  la Summa contra gentiles, a cura di A.  Puccetti, 2 voll.,  Torino 1930; sugli

          scritti autentici di T.: M. Grabmann, Die Werke des hl. Thomas von Aquino, Münster
          1931; per la bibliografia: P. Mandonnet e J. Destrez, Bibliographie thomiste, a cura
          di M.-D. Chenu, Parigi 1960. Tra i numerosissimi studi dedicati all’opera di T. ci
          limitiamo  a  indicare  alcune  opere  di  carattere  generale: A.  D.  Sertillanges, Saint
          Thomas d’Aquin,  Parigi  1910  (trad.  it.:  Brescia  1948);  E.  Gilson, Saint  Thomas
          d’Aquin,  Parigi  1925;  M.  De  Wulf, Initiation à la philosophie thomiste,  Lovanio

          1932;  G.  Saitta, Il carattere della filosofia tomista,  Firenze  1934;  C.  Giacon, Le
          grandi tesi del tomismo, Milano 1948; M.-D. Chenu, Introduction à l’étude de St.
          Th. d’Aquin, Montreal-Parigi 1950; F. C. Copleston, Aquinas, Harmondsworth 1955;
          H.  D.  Gardeil, Introduction  to  the  philosophy  of  St.  Thomas  Aquinas,  St.  Louis
          1956; A. Guzzo, Agostino e Tommaso, Torino 1958; K. Foster, Life of St. Thomas,
          Baltimora 1959.

          TOMMASO  MÒRO(santo),  nome  italianizzato  di Thomas  More,  in  lat. Morus,
          umanista e uomo di  Stato inglese (Londra 1477 o 1478-1535).  La passione per il
          mondo classico, che si univa in lui allo studio dei padri della Chiesa e della Bibbia,
          ne fecero presto un esponente di primo piano della cultura umanistica ed erasmiana:
          nel 1499 conobbe Erasmo da Rotterdam a Londra, e gli rimase poi sempre legato da

          affettuosa amicizia.
          Incerto se dedicarsi alla vita religiosa o alla carriera forense e attratto dalla vita
          contemplativa,  si  trovò  invece,  spesso  per  circostanze  indipendenti  dalla  sua
          volontà, a svolgere importanti funzioni pubbliche, in cui cercò sempre di far valere
          un’istanza  di  più  alta  moralità  e  di  moderazione.  Rapidissima  fu  la  sua  carriera
          politica per il favore concessogli da Enrico VIII. Consigliere ascoltato e stimato del
          monarca, si oppose nettamente alla sua idea di chiedere l’annullamento del primo

          matrimonio contratto con Caterina d’Aragona. Enrico VIII gli offrì allora, sperando
          di accattivarselo, il cancellierato del regno: Moro accettò con molti dubbi, sebbene
          il re gli garantisse libertà di coscienza, e fu il primo laico ad assurgere alla carica di
          lord  cancelliere  (1529).  Nel  1531  Enrico  pretese  di  esser  riconosciuto  dal  clero
          capo supremo della Chiesa inglese « fino a dove lo consente la legge di Dio ». Poco
          dopo Moro ebbe l’incarico di presentare in parlamento i risultati delle consultazioni

          tenute nelle più illustri università sulla legittimità del matrimonio di Enrico, Moro
          evitò di pronunciarsi in pubblico, limitandosi a esporre al parlamento le motivazioni
          del  monarca  che,  personalmente,  non  condivideva.  Infatti  nel  1532,  al  primo  atto
          ufficiale di sottomissione al re del clero d’Inghilterra (cui avrebbe fatto seguito, nel
          1534,  l’Atto  di  supremazia),  si  dimise,  ritirandosi  a  vivere  a  Chelsea.  Scrisse  in
          quest’epoca  (1533),  a  difesa  del  clero,  l’Apologia.  Imprigionato  nella  Torre  di
          Londra (1534), vi rimase per più di un anno, scrivendo il Dialogo del conforto e

          lettere  piene  di  cristiana  rassegnazione  a  familiari  e  amici.  Il  6  luglio  1535  fu
          decapitato come traditore.
          La  sua  fama  è  legata  al  dialogo  latino  dell’Utopia*,  scritto  nel  1515-1516,  che,
          narrando le consuetudini e la vita di un’isola inesistente, costituì l’archetipo di tutta
          una  tradizione  di  pensiero  politico  e  di  critica  sociale  destinata  a  straordinaria
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