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• Teologia protestante. Una definizione unitaria e univoca della teologia protestante
risulta molto problematica, se non rifacendosi al principio della Sacra Scrittura
come unica forma di fede. Su questa base Lutero, Zwingli, Calvino elaborarono
proprie dottrine teologiche, lontane tra loro su molti punti, come per esempio nelle
questioni sacramentarie. I protestanti, tuttavia, come ribadì la Confessione d’Augusta
del 1530, ritennero di non sostenere nulla di contrario « alla Scrittura o alla Chiesa
universale » e di situarsi correttamente nella linea teologica dei primi grandi concili
ecumenici (simbolo di Nicea e di Atanasio). In effetti, benché la Riforma fosse sorta
proprio come reazione allo scolasticismo medievale in nome di un ritorno alla
teologia della Bibbia e in special modo paolina, non tardò essa stessa a dar luogo a
una scolastica protestante, frutto delle controversie sorte nel suo seno (dispute nel
luteranesimo tedesco e nel calvinismo olandese) e della inevitabile rielaborazione
dei grandi principi fissati dai padri del movimento riformato. D’altronde si
manifestò, fin dalle origini, una corrente teologica più radicale che non esitò a
sottoporre a critica la stessa dottrina trinitaria (antitrinitari) e ad applicare il
principio razionalistico del libero esame alla Scrittura. Ciò indubbiamente fu a
vantaggio dello sviluppo della critica biblica, che ebbe nel campo protestante alcuni
dei suoi maggiori cultori, ma che finì per aprire la strada al cosiddetto
protestantesimo liberale del XIX sec., tendente a storicizzare e a relativizzare tutti i
dati della Rivelazione. Tuttavia, come la reazione del pietismo nel XVII sec. aveva
controbattuto le sottigliezze e i virtuosismi teologici della scolastica protestante, così
in epoca moderna si assiste a un vasto movimento teologico di reazione al
protestantesimo liberale in nome di un ritorno alle fonti della Riforma e alla
Scrittura. Accanto ad Albert Schweitzer, che per certi aspetti può essere considerato
l’erede delle tendenze liberali, sorgono, nel protestantesimo, un Cullmann, che
sviluppa, con molti altri, il rinnovamento esegetico, cercando di interpretare il
messaggio della Scrittura dal suo interno, senza altre preoccupazioni filosofiche o
speculative; o un Bultmann che, tutto teso a un’interpretazione il più possibile «
contemporanea » della Bibbia, sulle orme del pensiero esistenzialista, propone di
demitizzare il contenuto della Scrittura, enucleando, sotto i loro racconti « mitici », il
nocciolo delle verità eterne.
Ma il più grande teologo protestante contemporaneo, quello che ha dato un’impronta
a gran parte della teologia moderna (anche cattolica), è Karl Barth. La sua « teologia
dialettica », partita da un rifiuto radicale della teologia liberale, accusata di aver
ridotto Dio a dimensioni umane per essersi posta dal punto di vista dell’uomo invece
che da quello di Dio, concepisce un Dio « totalmente altro » rispetto all’uomo, ma
che ha rivelato se stesso nel Cristo, cessando di essere un mistero insondabile.
Prendendo spunto dalla teologia barthiana, ma radicalizzandone o isolandone taluni
aspetti, si è messo in moto nell’ambito protestante un processo apparentemente
antitetico a quello seguito dal maestro, vale a dire dalla cristologia all’antropologia,
con la pretesa cioè di concentrare l’attenzione « teologica » sull’uomo e i suoi
problemi: in questa direzione ha ultimamente agito anche l’opera geniale e
rinnovatrice del pastore tedesco Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), morto in un