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Innocenzo  III,  e  Bonifacio  VIII,  i  quali  si  arrogarono  il  diritto  di  giudicare  e  di

          deporre,  eventualmente,  i  sovrani.  Ma  già  per  sant’Agostino  la  sovranità,  pur
          derivando  sempre  da  Dio,  non  tocca  al  sovrano  per  investitura  diretta,  bensì
          mediatamente, attraverso il popolo che ne è il depositario, ma non la fonte. Tale tesi,
          con le sue possibili aperture democratiche, venne poi sviluppata da san Tommaso.
          Marsilio  da  Padova  nel Defensor pacis condusse il più forte attacco alla dottrina
          teocratica, sostenendo che il sovrano deriva la sua autorità direttamente dal popolo e

          che  il  potere  religioso  deve  essere  subordinato  a  quello  politico.  Con  il
          Rinascimento si ha una battuta d’arresto nello sviluppo della dottrina teocratica che
          riprenderà con la dottrina del diritto divino dei re a opera di sir Robert Filmer e
          Bossuet,  rientrerà  in  crisi  con  il  giusnaturalismo  e  l’Illuminismo  e  riacquisterà
          vigore  non  senza  sostanziali  trasformazioni  con  J.  de  Maistre  e  nel  periodo  della
          Restaurazione con Louis de Bonald.

          TEODICÈA  (dal  gr. theós,  dio  e díkē,  giustizia).  Problema  della  giustizia  di  Dio,
          conoscenza  della  provvidenza  di  Dio  attraverso  la  sola  ragione.  Leibniz  nei  suoi
          Saggi  di  teodicea*  (1710)  diede  questo  nome  alla  soluzione  del  problema  della
          provvidenza,  cioè  dell’antitesi  fra  l’esistenza  di  un  Dio  infinitamente  buono  e  la
          presenza del male nel mondo. Alla questione affrontata da Leibniz e oggetto della

          teodicea: «  Si  Deus est, unde malum?  Si  Deus non est, unde bonum? », già molti
          pensatori avevano cercato di dare una risposta che va dalla supposizione di un Dio
          indifferente  alle  cose  umane  (Aristotele)  alla  negazione  dell’esistenza  del  male
          (stoici), all’ammissione di un dualismo di principi o dei, uno buono e l’altro cattivo
          (manichei).  La soluzione cristiana, a cui sostanzialmente si rifà quella di  Leibniz,
          cerca di conciliare il male con la bontà e provvidenza di Dio e la prescienza divina
          col  libero  arbitrio  umano;  distingue  il  male  fisico  da  quello  morale  (peccato),
          facendo dell’uno la conseguenza dell’altro; afferma che  Dio non « impedisce » il

          peccato, per lasciare all’uomo la libertà, ma lo « proibisce »; mette in rilievo la
          differenza  incommensurabile  tra  l’infinita  bontà  divina  e  il  male  commesso  dagli
          uomini  che,  di  fronte  a  essa,  assume  una  rilevanza  trascurabile  e  fonda  poi
          l’aspettativa nella giustizia finale.
          Il  termine  teodicea  ha  poi  finito  per  identificarsi  per  estensione  con  la  teologia

          naturale, cioè con quella parte della teologia che si fonda sui principi della ragione e
          sui dati dell’esperienza, prescindendo dalla Rivelazione. Dopo Leibniz altri autori
          cristiani, tra cui il  Rosmini, hanno dedicato opere particolari alla questione della
          teodicea.
          TEODORICO di Chartres, filosofo francese, nato a Chartres dopo il 1149. Insegnò
          nella città natale, professando una dottrina che ha le sue ascendenze nel Timeo di

          Platone, in sant’Agostino, in Boezio e in Giovanni Scoto Eriugena, secondo la quale
          Dio contiene in sé le forme di tutte le cose e le creature sono « esemplate » su tali
          modelli  immutabili  ed  eterni.  Questa  concezione  del  rapporto  Diomondo,  detta
          comunemente esemplarismo, è sintetizzata nella formula di Teodorico: « Dio è tutte
          le cose » (Deus est omnia). Opere principali: De sex dierum operibus (Sulle opere

          dei sei giorni) e Heptateuchon, enciclopedia delle arti liberali.
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