Page 817 - Dizionario di Filosofia
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considerazione delle cose non vincolata dalle dimensioni del relativo e del
contingente.
SUICIDIO. Nella storia della filosofia occidentale alcuni pensatori hanno condannato
il suicidio, altri lo hanno ritenuto ammissibile, almeno in certi casi. Per Platone
l’uomo non può usurpare alla divinità il diritto di stabilire quando la vita debba aver
termine. Questa considerazione fu fatta propria dal cristianesimo, insieme con l’altra,
dovuta ad Aristotele, che l’uomo non può cancellare con un atto unilaterale tutti i
suoi doveri verso la comunità. Hume confutò questi argomenti, e altri di analoga
ispirazione, nel suo saggio Sul suicidio e sull’immortalità dell’anima. Di radici
cristiane è anche l’osservazione di Kant che il suicida fa torto a se stesso, ignorando
resistenza al di là della individualità empirica (uomo fenomeno) di una persona
umana portatrice di valori eterni e dotata di una sua particolare « dignità » (uomo
noumeno). La concezione del suicidio come affermazione della libertà
dell’individuo è nella filosofia classica una posizione tipica degli stoici e degli
epicurei. Nell’età moderna, mentre Schopenhauer dimostra che attraverso il suicidio
l’uomo, anziché sottrarsi alla schiavitù della volontà, ribadisce il dominio di questa,
la tesi del valore di libertà del suicidio è stata ripresa da Nietzsche e da alcuni
rappresentanti dell’esistenzialismo, come Jaspers, Camus e Sartre. Per quest’ultimo,
chiunque giustifichi scelte non volute adducendo l’esistenza di condizioni
necessitanti è in « malafede », in quanto sussiste sempre e per tutti la possibilità
liberatrice del suicidio.
• L’atteggiamento verso il suicidio è notevolmente diverso nelle civiltà dell’Estremo
Oriente. In Cina esso veniva compiuto come estrema protesta contro una offesa o una
violenza, e aveva come risultato il pubblico disonore per l’autore dell’offesa. In
Giappone il suicidio non è moralmente condannato: esso assume anzi la forma
cerimoniale dello harakiri. Il buddhismo è in linea generale contrario al suicidio, in
quanto esso non può liberare dal ciclo delle reincarnazioni, tuttavia esso ammette
che un monaco, sentendo di avere ormai raggiunto la illuminazione possa compiere il
suicidio dandosi fuoco.
Bibliogr.: S. E. Sprott, The english debate on suicide, La Salle 1961; E. Durkheim,
Le suicide. Etude de sociologie, Parigi 1969.
sui generis, loc. lat. usata nella filosofia scolastica a indicare una realtà (cosa o
idea) che costituisce genere da sola, non potendo essere sussunta in un concetto più
vasto mediante riferimento al genere prossimo (es. l’idea che l’uomo ha di Dio.)
SUPERAMENTO. In Hegel i termini superamento (in ted. Aufhebung) e superare (in
ted. aufheben) sono usati per caratterizzare il processo dialettico che nello stesso
tempo abolisce e conserva, innalzandolo a un livello superiore, ciascuno dei suoi
momenti. Hegel avvicina il duplice significato dei termini tedeschi a quello del lat.
tollere. In italiano nei termini « superamento » e « superare » non è implicito il
senso di « innalzare », prevalente in tedesco: tale sfasatura di significato va tenuta
presente per intendere l’interpretazione della dialettica tipica del neohegelismo
italiano.