Page 770 - Dizionario di Filosofia
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scienza economica (1885), Elementi di politica (1891), Etica pratica (1895) e,
postume: La filosofia, la sua sfera e le sue relazioni (1902), Lezioni sulla filosofia
di Kant (1905).
SIGIÈRI di Brabante, filosofo di origine belga (1235 circa - Orvieto, fra il 1281 e il
1284). Dalle poche notizie che si hanno intorno alla sua vita risulta che egli,
divenuto magister artium nel 1266 nell’università di Parigi, cominciò in quell’anno
a fare capo a quella corrente di pensiero che intendeva rimanere fedele ad Aristotele
e ad Averroè anche nei punti dottrinari inconciliabili con il cristianesimo, divenendo
il massimo rappresentante dell’averroismo latino, contro cui polemizzarono san
Bonaventura e san Tommaso; nel 1270 tredici proposizioni tratte dai suoi scritti
furono condannate dal vescovo di Parigi. Più tardi, ricevuto l’ordine dall’inquisitore
di Francia di presentarsi di persona, Sigieri andò a Roma per appellarsi al pontefice,
ma il papa autorizzò il vescovo di Parigi a rinnovare la condanna (1277), ampliando
il numero delle proposizioni incriminate. Obbligato a vivere sotto rigorosa
sorveglianza nella sede della curia romana, morì per mano di un chierico suo
segretario. Sigieri godette ai suoi tempi di fama europea: Dante, collocandolo fra i
beati (Par., X, 133-138), mostra di non dare grande peso alle condanne da lui subite,
Egli negava la creazione del mondo dal nulla, sostenendone l’eternità; negava inoltre
l’immortalità dell’anima individuale e il libero arbitrio. Fra i suoi numerosi scritti,
in parte perduti, sono: Impossibilia (confutazione di un gruppo di sofismi) e De
aeternitate mundi.
Bibliogr.: P. Mandonnet, Siger de Brabant et l’averroïsme latin au XIII siècle,
Lovanio, 2 voll., 1908-1911; F. Van Steenberghen, Siger de Brabant d’après ses
oeuvres inédites, 2 voll., Lovanio 1931-1942; B. Nardi, Sigieri di Brabante nel
pensiero del rinascimento italiano, Roma 1945; J. J. Duin, La doctrine de la
providence dans les écrits de Siger de Brabant, Lovanio 1954; G. De Palma, La
dottrina dell’unità dell’intelletto in Sigieri di Brabante, Padova 1954.
SIGNIFICATO. Nella filosofia greca una vera e propria teoria del significato si trova
nella logica stoica, mentre un abbozzo di una tale indagine possono essere
considerate le riflessioni di Platone sul nesso non convenzionale fra parole e cose e
quelle successive di Aristotele sul rapporto fra le parole e le « affezioni dell’anima
». La dottrina stoica è fondata sul presupposto dell’esistenza di un isomorfismo
strutturale fra l’ordine delle cose e quello del discorso, il che garantirebbe
l’oggettività e la comunicabilità almeno di certi tipi di proposizioni. Di origine
stoica è anche la distinzione adottata dagli scolastici fra significato (significatio) e
suppositio, dove quest’ultima (nel senso di « posizione in luogo di ») è il tipo di
significato particolare che il segno viene ad assumere nei vari usi. Così nella
proposizione « uomo è bisillabo » si ha una suppositio materialis, in quanto il
termine « uomo » è usato per indicare se stesso come oggetto di indagine fonetica. In
altre parole, la « significatio » è quella che J. Stuart Mill ha poi chiamato la funzione
denotativa del segno, distinguendola da quella connotativa. Se un segno « denota »
solo un oggetto, in realtà non « significa » nulla (tale è per il Mill il caso dei nomi
propri). Si ha invece significato quando un segno apporta « connotazioni », cioè