Page 749 - Dizionario di Filosofia
P. 749

o  materia  è  organizzato  dal  soggetto  mediante  forme a  priori  che  Schopenhauer,

          eliminando la distinzione kantiana di intuizioni pure e categorie dell’intelletto, riduce
          a spazio, tempo e causalità. Mentre per Kant la « cosa in sé » è inconoscibile e ogni
          tentativo  della  ragione  teoretica  di  valicare  il  limite  del  mondo  fenomenico  è
          destinato  al  fallimento,  per  Schopenhauer  invece  esiste,  al  di  là  dell’attività
          rappresentativa, un’esperienza privilegiata che consente, a chi si cala abbastanza a
          fondo in se stesso, di scoprire la vera natura della realtà. L’intuizione immediata ci

          attesta che alla radice di tutte le manifestazioni della nostra esistenza c’è un’oscura «
          volontà  di  vivere  ». È  legittimo  per  Schopenhauer  estendere  il  risultato  di  questa
          autoesplorazione a tutto il mondo delle rappresentazioni e concludere che alla base
          dell’universo fenomenico c’è la « volontà » (il termine è assunto non nel significato
          della filosofia classica di « appetizione razionale », ma in quello di « impulso cieco
          », di « energia vitale »).
          Il pessimismo di  Schopenhauer (che è l’aspetto più universalmente noto della sua

          filosofia) è motivato dalla considerazione che la volontà implica costitutivamente il
          dolore. La vita si identifica con il desiderio e connaturata a essa è la condizione di
          bisogno e di mancamento, che si manifesta come sofferenza. Del resto lo stesso stato
          di provvisorio e relativo appagamento porta con sé la noia, « sentimento metafisico
          »  per  eccellenza:  anche  la  noia  è  sofferenza  e  il  suo  sopravvenire  fornisce
          un’ulteriore  conferma  dell’infinità  del  volere  e  dell’inappagabilità  di  esso.  Chi

          rifiuta la comodità delle transazioni consolatorie non può non riconoscere che « il
          pendolo della vita oscilla fra il dolore e la noia ». Schopenhauer ritiene tuttavia che
          l’uomo possa sottrarsi alla « schiavitù della volontà », L’intelligenza si emancipa in
          primo  luogo  dalla  sua  funzione  strumentale  e  diventa  organo  di  conoscenza
          disinteressata. L’individuo si sottrae alla dura catena del desiderio e diventa un puro
          soggetto contemplante, che ha dinanzi a sé non fenomeni ma idee, le pure essenze
          interposte fra l’energia creatrice della volontà e il mondo della rappresentazione. In

          tale  conoscenza  disinteressata  consiste  appunto  l’arte,  nella  quale  si  realizza  la
          prima  forma  di  liberazione  dalla  schiavitù  della  volontà.  Si  tratta  tuttavia  di  una
          libertà  momentanea  e  fuggevole,  rispetto  a  quella  che  può  essere  conseguita
          attraverso un processo di limitazione crescente della volontà di vivere, il quale ha al
          suo culmine la totale autonegazione. Questo processo muove dalla giustizia (con cui

          ha  inizio  il  superamento  dell’illusione  dell’esistenza  individuale)  e,  passando
          attraverso la compassione e l’amore, culmina nella autonegazione della volontà di
          vivere, che diventa eosì nolontà*. Schopenhauer ha qui presenti esperienze di tipo
          ascetico, soprattutto quelle realizzate dagli asceti indiani, e non il suicidio, che è per
          lui  un  modo  tragico  di  soggiacere  alla  volontà  di  vivere  e  non  una  via  per
          sopprimerla.  Così  l’unico  valore  che  emerga  dal  mondo  è  il  nulla  della  sua
          negazione. Questo potrà sembrare troppo poco agli uomini « che sono ancora pieni
          di volontà ». Ma per coloro nei quali la volontà si è rinnegata e dissolta il fatto che

          questo nostro universo, « con tutti i suoi soli e le sue vie lattee », si riveli come il
          nulla  costituisce  un’esperienza  assai  più  appagante  delle  trasparenti  mistificazioni
          offerte dal teismo e dal panteismo.
   744   745   746   747   748   749   750   751   752   753   754