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dall’arte (idealismo estetico), la quale ha in comune con la produttività della natura

          la  compresenza  nell’atto  creativo  di  un  momento  consapevole  e  di  un  momento
          inconscio (la cosiddetta ispirazione).
          Nella fase successiva del suo pensiero (1800-1809)  Schelling mostra un interesse
          crescente per il problema religioso. La finitudine e l’imperfezione del reale non gli
          paiono  riscattabili  con  l’espediente  dell’ottimistica  dissoluzione  del  molteplice
          nell’infinità  dell’Assoluto.  Messo  alle  strette  dalla  critica  di  Hegel,  egli  vuole

          dimostrare che la sua unità indifferenziata (la hegeliana « notte in cui tutte le vacche
          sono nere ») include concretezza e articolazione e garantisce l’autonomia e la libertà
          dell’individuo.  Egli riprende la tesi di  J.  Böhme di una sorta di duplicità di  Dio,
          diviso tra l’essere e un misterioso sostrato negativo, e spiega il male e il peccato
          come conseguenze di una possibile disarmonia nell’uomo dei due principi costitutivi.
          La  materia  tende  in  questa  nuova  concezione  ad  apparire  come  il  risultato  di  una
          caduta  e  la  nascita  dell’individuo  si  configura  come  allontanamento  e  punizione.

          Nonostante  gli  sforzi  del  filosofo  per  mantenere  fermo  il  monismo  originario,  la
          prospettiva sembra radicalmente mutata e la frattura dell’unità del reale profonda e
          irrimediabile.
          Dal 1809 al 1834 Schelling si chiuse in un silenzio sdegnoso, assistendo impotente al
          trionfo  di  Hegel.  L’ultima  fase  del  suo  pensiero  muove  da  una  critica  serrata
          dell’identificazione hegeliana del reale col razionale. La filosofia, in quanto ricerca

          delle condizioni di possibilità dell’essere, è un sapere essenzialmente negativo. Essa
          può  determinare  il  «  che  cosa  »  dell’essere,  le  forme  senza  le  quali  nulla  può
          esistere, ma non il « che », il fatto concreto dell’esistenza. Quando diventa positiva
          la filosofia si autonega come sapere razionale e diventa pratica e religiosa. Il suo
          compito è allora quello di riconoscere le verità di fatto implicite nella mitologia e
          nella rivelazione e di sanzionare l’annullamento dell’io dinanzi al Dio personale e
          trascendente, al cui cospetto quelle necessariamente conducono.

          Questo deciso riaffiorare della trascendenza costituisce, secondo i punti di vista, o il
          momento finale di un processo involutivo (è questa la tesi costante della storiografia
          idealistica), o il segno della ricchezza problematica e della modernità di Schelling.
          Da  quest’ultima  prospettiva,  la  contrapposizione  di  essenza  ed  esistenza  e  la
          connessa  critica  a  Hegel  impongono  il  richiamo  a  Kierkegaard  e  autorizzano  a

          collocare  anche  Schelling  tra  i  «  precursori  »  dell’esistenzialismo.  In  particolare
          Jaspers ha visto la modernità di  Schelling in certi aspetti « decadenti » della sua
          personalità filosofica, come l’inquietudine, la tormentata incoerenza e la « fragilità
          ».
          Bibliogr.: Werke, a cura di  K.  F. A.  Schelling, 14 voll.,  Stoccarda 1856-1861; in
          italiano: Sistema dell’idealismo trascendentale, a cura di G. Semerari, Bari 1965;

          Lettere  filosofiche  su  dogmatismo  e  criticismo,  a  cura  di  G.  Semerari,  Firenze
          1958; L’empirismo filosofico e altri scritti, a cura di G. Preti, Firenze 1967. Su S.:
          E.  Bréhier, Schelling,  Parigi  1912;  V.  Jankélevitch, L’odyssée  de  la  conscience
          dans  la  dernière  philosophie  de  Schelling,  Parigi  1933;  A.  Massolo, Il  primo
          Schelling,  Firenze 1953;  J.  Habermas, Das Absolute und die Geschichte. Von der
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