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esprimere come ideale di vita, come norma teorica, quel che Leon Battista Alberti

          esprimerà a mezzo il Quattrocento, ponendo come ideale la dolcezza del vivere »,
          così come non ha mai osato teorizzare l’azione politica con l’indipendenza spirituale
          del Machiavelli. E infine la polemica umanistica contro la logica scolastica non è
          affatto,  almeno  negli  scrittori  più  consapevoli  (Salutati,  Nizolio,  ecc.),  una
          manifestazione di superficialità di « letterati », ma include l’esigenza molto seria di
          elaborare una nuova tecnica del discorso persuasivo e forme di argomentazione più

          direttamente  poggiate  sulle  cose,  e  tali  dunque  da  garantire  la  possibilità
          dell’intervento  attivo  dell’uomo  sulla  natura  c  sulla  realtà  in  generale,  ovvero  la
          possibilità della scienza.
          Il rapporto fra Rinascimento e origine della scienza moderna va visto nell’esplicito
          agganciarsi  di  uomini  tanto  diversi  come  Nicola  da  Cusa  e  Leonardo  alla  «  via
          moderna » della tarda scolastica, per liberarsi dalla fisica aristotelica e abbozzare
          una prima impostazione empiricoproblematica del metodo scientifico; nell’adesione

          a un aristotelismo filtrato attraverso Alessandro di Afrodisia e Averroè e divenuto
          così una filosofia rivoluzionaria; nell’assunzione, per altra via, di un platonismo «
          umanistico  »,  nel  quale  la  natura  divinizzata  ha  l’uomo  come  «  suo  ministro  e
          interprete » (Ficino, Pico. ecc.).
          Tuttavia, e questa considerazione è essenziale, la « modernità » del Rinascimento va
          caratterizzata nei suoi limiti storici, senza cedere alla tentazione di extrapolazioni

          arbitrarie  e  di  analogie  tendenziose.  La  scienza  della  natura  è  ancora  «  magia
          naturale ». ritrovamento fortunato di cause occulte nascoste nel fondo delle cose, e la
          tecnica  della  ricerca  non  è  ancora  guidata  da  una  concezione  corretta  del  nesso
          esperienza-ragione. Machiavelli non ricorre più, come il Villani, ai « peccati degli
          uomini » e alla « istigazione » del diavolo per spiegare l’inizio delle lotte intestine a
          Firenze,  ma  tuttavia  anche  a  lui  le  vicende  umane,  considerate  nei  tempi  lunghi,
          appaiono sottratte al potere dell’uomo e dominate da una fatalità naturale. La nozione

          di « fortuna » ha un’incidenza assai rilevante nella forma mentis rinascimentale.
          • Il pensiero religioso. I rapporti con la tradizione religiosa cristiana non possono
          essere posti in termini di esclusione o di superamento. L’insofferenza per le dispute
          scolastiche e per le superstizioni grossolane racchiudeva l’esigenza di una religiosità
          più  conforme  all’essenza  evangelica  del  cristianesimo,  e  la  cultura  umanistico-

          rinascimentale contribuì, soprattutto attraverso la mediazione di Erasmo, a immettere
          i valori più genuinamente innovatori nell’impalcatura medievalizzante della Riforma.
          E infine il « rinnovamento » è pur sempre inteso come recupero e restaurazione di un
          momento  della  storia  umana,  che  funge  da  modello  e  da  norma.  F.  Chabod  ha
          giustamente  insistito  sul  carattere  fondamentalmente  religioso  di  un  tale
          atteggiamento. È  il  mito  del  ritorno  alle  origini,  comune  ai  moti  pauperistici  del
          medioevo,  alla  Riforma  protestante  e  alla  cultura  dell’Umanesimo  e  del
          Rinascimento. E proprio per la rilevanza di questo motivo nella costituzione della

          mentalità  umanistico-rinascimentale  sembra  molto  persuasiva  la  tesi  secondo  la
          quale  il  Rinascimento  si  deve  considerare  conchiuso  quando  il  mito  della
          esemplarità  del  mondo  antico  entra  in  crisi,  come  è  evidente  nella  polemica  del
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