Page 709 - Dizionario di Filosofia
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soggetto e oggetto.
          RELIGIONE.  Nelle  numerose  definizioni  della  religione  proposte  dai  vari  sistemi
          filosofici  compaiono  di  volta  in  volta  come  note  essenziali  del  concetto  caratteri
          differenti. Nel campo degli studi di storia delle religioni e di etnologia religiosa, con
          la  conoscenza  sempre  più  vasta  e  approfondita  delle  religioni  primitive  e  delle

          grandi  religioni  orientali  non  monoteistiche  ha  finito  per  prevalere  la  tendenza  a
          rinunciare  alla  ambizione  di  chiudere  in  un  conciso  giro  di  parole  i  caratteri  di
          esperienze e di istituzioni di straordinaria diversità e varietà. Per es. nel Ramo d’oro
          di J. G. Frazer (1890) si trova enunciata la definizione seguente: « La religione è una
          propiziazione e conciliazione di poteri superiori all’uomo, ritenuti capaci di dirigere
          e controllare il corso della natura e della vita umana ». Ma la preoccupazione del
          Frazer  di  distinguere  tali  «  poteri  superiori  »  dalle  forze  oggettive  a  cui  farebbe

          invece  riferimento  l’azione  magica,  è  parsa  a  molti  autori  priva  di  fondamento. È
          stato osservato che ogni culto racchiude in sé azioni di carattere magico e che tutte le
          preghiere costituiscono intenzionalmente una forma di pressione sulla realtà esterna.
          È  di  Dewey  la  constatazione  che  i  «  poteri  superiori  »  o  «  invisibili  »,  a  cui
          rimandano  quasi  tutte  le  definizioni  della  religione,  «  sono  stati  concepiti  in  una
          quantità di modi reciprocamente incompatibili ». Si va dal vago e misterioso mana

          dei Melanesiani al kami dello shintoismo, all’impersonale principio presupposto dal
          buddhismo, al dio personale della tradizione ebraico-cristiana. Anche i vari tentativi
          di determinazione dell’essenza della religione sulla base dell’individuazione della
          sua  forma  originaria  hanno  dato  luogo  a  controversie  di  principio  e  di  metodo.
          L’inglese  E.  B.  Tylor  tentò  di  dimostrare,  nella  seconda  metà  del XIX  sec.,  che  a
          fondamento  della  religione  sta  l’intuizione,  comune  a  tutta  l’umanità  primitiva,  di
          un’anima presente in tutti i corpi e separabile da essi (animismo).  Tale intuizione

          avrebbe  una  origine  onirica  e  le  divinità  delle  culture  più  avanzate  sarebbero  il
          risultato di un raffinamento di quella nozione primordiale.
          Successivamente  prevalse  per  qualche  tempo  la  tesi  dell’origine  totemistica  (v.
          TOTEM), difesa tra gli altri da W. Robertson Smith e da S. Reinach. Alcuni studiosi
          legano strettamente l’origine del sacro al culto dei morti, altri (come il Frazer, già
          ricordato)  vedono  nel  «  mondo  magico  »  e  nella  cultura  che  esso  implica  un

          antecedente  necessario  delle  successive  credenze  religiose.  Lo  scozzese A.  Lang,
          critico  dell’evoluzionismo  religioso,  sostenne  la  tesi  del  monoteismo  originario
          nell’opera L’origine  delle  religioni  (1898).  Con  intenti  apologetici  e  con  grande
          apparato  dottrinario  la  stessa  concezione  del  «  monoteismo  primordiale  »
          (Urmonotheismus)  fu  ripresa  dal  padre  W.  Schmidt  e  sviluppata  in  un’opera
          monumentale, L’origine dell’idea di Dio, la cui pubblicazione ebbe inizio nel 1912.
          Può essere interessante osservare che la difficoltà di stringere in un concetto unitario

          il fenomeno religioso emerge anche dalla storia della interpretazione etimologica del
          termine « religione ». Cicerone lo fa derivare da relegere (« rileggere ») e sottolinea
          così come momento essenziale della religione il rispetto rigoroso di ciò che è antico
          e  prescritto,  nell’ambito  dell’azione  liturgica  e  del  rito.  Lattanzio  connette  più
          correttamente la parola a religare (« legare ») e concepisce perciò la religione come
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