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morte, fu per qualche tempo seguace di Jacobi, di Schelling, di Herbart e, infine, di

          Bardili. Questa incostanza fu interpretata come segno di debolezza speculativa e il
          filosofo divenne bersaglio di attacchi polemici.
          Bibliogr.: E. Reinhold, K. L. Reinholds Leben und literarisches Werken, Jena 1825;
          H.  Adam, K.  L.  Reinholds  philosophischer  Systemwechsel,  Heidelberg  1930;  A.

          Pierini, C.  L.  Reinhold;  il  metodo  della  filosofia  elementare,  il  principio  della
          coscienza e il problema della cosa in sé, « Giornale critico della filosofia italiana
          »,  1941;  A.  Pupi, La  formazione  della  filosofia  di  K.  L.  Reinhold,  1784-1794,
          Milano 1966.
          RELATIVISMO. La dottrina filosofica che afferma la relatività della conoscenza. La
          considerazione delle alterazioni apportate dal soggetto ai contenuti della conoscenza

          e, in via subordinata, quella dell’ineliminabile condizionamento reciproco dei vari
          momenti  della  realtà,  sono  alla  base  del relativismo  moderno.  Agli  inizi  della
          seconda metà del XIX sec. fondarono il loro relativismo su tali argomenti i filosofi
          inglesi W. Hamilton e H. L. Mansel. Spencer e altri positivisti accettarono tale linea,
          utilizzando  le  implicazioni  conciliative  che  essa  comportava  nei  riguardi  della
          religione:  poiché  l’assoluto  si  sottrae  alla  conoscenza  umana,  che  è  limitata  e

          relativa, resta disponibile lo spazio necessario per il riconoscimento della legittimità
          della fede. In certi rappresentanti del pragmatismo la posizione relativistica servì a
          sottolineare il carattere meramente pratico e funzionale (« utile ») della conoscenza
          umana. Una radicalizzazione del relativismo gnoseologico può essere considerata la
          posizione di chi, seguendo le tesi sulla nascita delle civiltà di O. Spengler, considera
          i  principi  morali  e  religiosi  e  tutti  i  valori  in  genere  come  significanti  solo
          nell’ambito e per la durata della civiltà che li ha elaborati e professati. È un luogo

          comune quasi d’obbligo nella considerazione del relativismo il richiamo a Protagora
          e al suo detto che « l’uomo è misura di tutte le cose ». Va tuttavia osservato che nel
          sofista  greco  tale  affermazione  implicava  una  non  relativistica  difesa  dei  diritti
          dell’intelligenza  umana  contro  le  remore  dell’ordine  costituito  e  della  tradizione.
          Anche il pensiero di Kant è considerato dal relativismo gnoseologico ottocentesco

          come un antecedente illustre, ma tale assunzione comporta una interpretazione non
          del tutto corretta del concetto kantiano di fenomeno*. La teoria della conoscenza di
          Kant  costituirebbe  comunque,  nell’ambito  di  una  considerazione  così  orientata,  la
          forma più coerente del relativismo soggettivo, che si distingue da quello oggettivo:
          per il primo l’uomo non può conoscere in nessun caso la realtà in sé, mentre per il
          secondo sfuggono alla conoscenza umana solo i « primi principi » delle cose (vale a
          dire enti come lo spazio, il tempo, la materia, la forza, l’energia, ecc.).

          RELATIVITÀ.  Nella  celebre  memoria  del  1905,  dal  titolo Sull’elettrodinamica dei
          corpi  in  moto,  Einstein  osservò  che  alcune  dissimmetrie  dell’elettrodinamica  di
          Maxwell applicata ai corpi in movimento e i tentativi falliti di porre in evidenza il
          moto della Terra rispetto al mezzo ipotetico (chiamato « etere ») di propagazione
          della luce conducono a ritenere che: 1. le leggi che reggono tutti i fenomeni fisici

          sono le stesse per due osservatori animati di moto rettilineo uniforme uno rispetto
          all’altro  (principio  di  relatività  ristretta).  [In  altre  parole,  nessun  esperimento,
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