Page 703 - Dizionario di Filosofia
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funzione di quest’ultima come teoria critica della ragione.
          Bibliogr.:        Philosophie           der       Raum-Zeit-Lehre,             Berlino        1928;
          Wahrscheinlichkeitslehre,  Leida  1935; Experience and prediction, Chicago 1938;
          Philosophical foundations of quantum mechanics, Berkeley 1944 (trad. it.: Torino

          1954); The rise of scientific philosophy, Berkeley 1951 (trad. it.: Bologna 1961);
          Modern philosophy of science, a cura di M. Reichenbach, Los Angeles 1959 (trad.
          it.: Padova 1968).
          REID  (Thomas),  filosofo  scozzese  (Strachan,  Kincardine,  1710  -  Glasgow  1796).
          Dopo aver compiuto gli studi di teologia, fu per quasi quindici anni (1737-1752)
          pastore  a  New  Machar.  La  sua  vocazione  filosofica  fu  stimolata  dalla  lettura  del

          Trattato sulla natura umana di Hume, Nel 1752 fu nominato professore di filosofia
          presso l’università di Aberdeen, dove rimase fino al 1764, quando succedette ad A.
          Smith nella cattedra di filosofia morale di Glasgow. La sua critica a Hume muove
          dal rifiuto del presupposto empiristico che oggetti della conoscenza siano le « idee »
          e  dalla  convinzione,  fondata  sul  «  senso  comune  »,  che  la  conoscenza  sensibile

          includa un riferimento immediato alla realtà degli oggetti, che sono causa di essa. In
          tal modo vengono evitate le conseguenze scettiche della gnoseologia empiristica. La
          filosofia  di  Reid  godette  grande  popolarità  in  Francia  nell’epoca  della
          Restaurazione, ove venne diffusa dal Cousin e dallo Jouffroy. In Italia il Galluppi in
          particolare si interessò alla dottrina del Reid, sopravvalutandone forse l’originalità e
          l’importanza. Opere principali: Ricerca della mente umana sulla base dei principi
          del senso comune (1764), Saggi sulle facoltà intellettuali dell’uomo (1785), Saggi
          sulle facoltà attive della mente umana (1788).

          Bibliogr.: Philosophical works, 2 voll., a cura di W. Hamilton, rist. a cura di H. M.
          Bracken, Hildesheim 1967; è in preparazione l’edizione italiana degli scritti di R., a
          cura di A.  Santucci, per la casa editrice  UTET,  Torino.  Su  R.:  M.  F.  Sciacca, La

          filosofia di Tommaso Reid, Napoli 1935; S. A. Grave, The Scottish philosophy of
          common  sense,  Oxford  1960;  L.  Turco, Dal  sistema  al  senso  comune,  Bologna
          1974.
          REIFICAZIÓNE (dal lat. res, rei, cosa). La trasformazione dell’umano e del vivente in
          « cosa ».  La nozione di reificazione, di origine hegeliana, fu ripresa da Marx nel
          Capitale e riferita in particolare al processo per cui nell’economia capitalistica il

          lavoro salariato diventa un attributo incorporato nella merce che esso produce. La «
          cosa » acquista per tale via una realtà autonoma, distaccandosi artificialmente dal
          vivente da cui deriva e successivamente condizionandolo e tiranneggiandolo (sotto
          questo aspetto il processo della reificazione appare simile a quello attraverso cui
          nella vita religiosa nascono i feticci, donde l’espressione « feticismo della merce »).
          Alla  fortuna  della  parola  e  del  concetto  hanno  in  seguito  contribuito  Lukács,

          soprattutto con Storia e coscienza di classe (1923), Sartre, Marcuse, e in genere la
          letteratura  filosofico-sociologica  ispirata  al  «  marxismo  come  umanismo  ».  Il
          termine è oggi usato per indicare genericamente tutte le situazioni in cui si verifica
          una  degradazione  a  cosa  o  a  oggetto  dell’individuo  umano  e  dei  valori  ad  esso
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