Page 699 - Dizionario di Filosofia
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necessità  della  rivelazione.  Nel  primo  senso  rientrano  nel  razionalismo  tutte  le

          correnti della patristica e della scolastica avverse all’estremismo mistico e inclini a
          intendere il mistero non come irrazionale, ma come sovrarazionale. Esse trovano la
          loro sintesi più equilibrata nel tomismo. Nel secondo senso il razionalismo coincide
          con il deismo*, e cioè con l’atteggiamento di chi, come dice Baumgarten, commette
          l’errore « di eliminare dalla religione tutte le cose che sono al di sopra della propria
          ragione  ».  Il razionalismo  estetico,  infine,  vede  l’opera  d’arte  come  risultato  di

          rapporti,  di  equilibri,  di  frequenze  razionalmente  individuabili  o  addirittura
          numericamente calcolabili. È una concezione di origine pitagorica, ripresa da Leibniz
          e ripresa nell’estetica contemporanea, in polemica con l’intuizionismo idealistico-
          romantico.
          REALISMO. Posizione filosofica caratterizzata dall’affermazione che la realtà esiste
          indipendentemente dall’attività del soggetto che la conosce. Il realismo costituisce

          una delle risposte possibili al problema del valore e della portata della conoscenza
          umana.  Che  la  realtà  sia  indipendente  dall’atto  psichico  che  la  acquisisce  come
          oggetto  è  un  convincimento  immediato  e  in  qualche  misura  naturale.  Esso  è  però
          subito  messo  in  crisi  dalla  constatazione  della  relatività  delle  sensazioni,  dal
          sospetto  dell’arbitrarietà  delle  costruzioni  mentali,  dalla  difficoltà  di  distinguere

          l’immaginario  dal  reale,  la  vita  dal  sogno.  I  filosofi  designano  la  fede  acritica
          nell’obiettività  della  conoscenza  come realismo ingenuo  o acritico.  Esso  non  ha
          dubbi sulla perfetta identità del mondo reale con le « figure » che compongono la
          rappresentazione  del  soggetto.  Bergson  descrive  così  il  comportamento  del  senso
          comune, il quale identifica spontaneamente i contenuti mentali con la realtà in sé, la
          percezione  con  l’oggetto:  «  Chiamo  materia  l’insieme  delle  mie  immagini  ».  Il  «
          problema  della  conoscenza  »  nasce  quando  le  implicazioni  inconsapevolmente
          assunte  diventano  oggetto  di  indagine.  La  ricerca  può  allora  avere  come  esito  il

          realismo filosofico o il soggettivismo* (o idealismo*) gnoseologico. In quest’ultimo
          caso vale in linea di principio la formula di Berkeley: esse est percipi, « esistere
          equivale a essere percepito ».
          •  Realismo  filosofico.  Fin  dagli  inizi  della  filosofia  greca  si  cercò  una  garanzia
          dell’obiettività della conoscenza. Essa venne trovata in una supposta somiglianza di

          natura tra soggetto e oggetto (« il simile conosce il simile », o, come dice Eraclito, «
          ciò che si muove conosce ciò che è mosso »). Anche per Platone e Aristotele i vari
          gradi della conoscenza corrispondono esattamente ai vari gradi della realtà: così la
          mutevole  opinione  rispecchia  la  realtà  in  divenire,  mentre  la  scienza  nella  sua
          definitività riproduce il mondo immutabile dell’essere. È tipica a questo proposito la
          dottrina epicurea delle immagini (éidōla)  che  si  staccano  dalle  cose  e  vengono  a
          imprimersi nell’anima: qui il contatto materiale rende insostenibile ogni negazione

          scettica della perfetta corrispondenza della percezione sensibile con la realtà. Anche
          l a dottrina  di  origine  tomistica  della  verità  come  adeguazione  della  cosa  e
          dell’intelletto fa garante della verità del conoscere la somiglianza tra conoscente e
          conosciuto.
          Se si assume come discriminante la « natura » della realtà colta dalla conoscenza
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