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autorivelazione  »,  attraverso  la  quale  l’esistenza  si  costituisce  come  chiarimento

          della  propria  struttura;  al  polo  opposto  va  collocata  la  riduzione  della  ragione  a
          tecnica  logico-formale,  caratteristica  del  neopositivismo.  La  considerazione  delle
          diverse  metodologie,  attraverso  cui  la  ricerca  scientifica  «  razionalizza  »  i  vari
          aspetti  della  realtà,  costituisce  così,  per  le  correnti  più  feconde  del  pensiero
          contemporaneo, la premessa necessaria di una possibile teoria della ragione.
          • Ragion sufficiente, nella filosofia di Leibniz, ciò che rende intelligibili le realtà

          contingenti. Il principio di ragion sufficiente include come suo momento particolare
          il  principio  di  causalità.  Esso  implica  l’assunzione  della  veduta  aprioristica  che
          nulla  possa  esistere  senza  un  fondamento  razionale  ed  è  perciò  un  principio
          metafisico, connesso di solito con una concezione teleologica dell’universo. Leibniz
          lo enuncia nella Monadologia (art. 32) con queste parole: « Nessun fatto potrebbe
          esistere, nessuna enunciazione esser vera, senza una ragione sufficiente perché sia
          così e non altrimenti, sebbene tali ragioni ci siano il più delle volte sconosciute ».

          Schopenhauer  dedicò  all’analisi  del  principio  la  sua  tesi  di  dottorato,  intitolata
          appunto Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (1813). In essa
          il principio viene scomposto nella ratio fiendi, o causalità, nella ratio cognoscendi,
          o dipendenza di una proposizione dai suoi antecedenti logici, nella ratio essendi, o
          reciproca  dipendenza  di  tutti  gli  esistenti  nello  spazio  e  nel  tempo,  e  nella ratio
          agendi, o motivazione di ogni azione.

          • Ragion di Stato. Espressione con cui si indica l’interesse supremo dello Stato, di
          fronte a cui deve cedere l’interesse privato. L’elaborazione concettuale del principio
          va individuata nella filosofia politica di  N.  Machiavelli e nei dibattiti dell’epoca
          della  Controriforma;  diedero  un  importante  contributo  J.  Bodin  (considerato  il
          caposcuola dei teorici della ragion di Stato) e G. Botero. Questi, nel trattato sulla
          Ragion di Stato (1589), la definì: « Notizia dei mezzi atti a fondare, conservare e
          ampliare uno Stato ». Motivo di controversia nella pubblicistica del XVI sec. fu se la

          ragion  di  Stato  dovesse  tener  conto  delle  norme  etico-religiose  o  potesse
          considerarsi a esse superiore; si distinse così una ragione di Stato legittima, cui il
          sovrano poteva appellarsi valendosi della prudenza cristiana, da una illegittima che
          generava la tirannide; i trattatisti furono in genere unanimi nel condannare il principe
          che seguisse solo un calcolo razionale dei fatti e delle forze storiche (il cosiddetto

          machiavellismo). Gli scrittori della corrente tacitista (per es. il Boccalini) tentarono
          però  di  salvare  dalle  condanne  ecclesiastiche  (V.  ANTIMACHIAVELLISMO)
          1’l’intuizione  machiavellica  di  uno  Stato  volto  a  realizzare  suoi  fini  specifici  e
          basato  su  una  propria  autonoma  ragione.  I  dibattiti  intorno  alla  ragion  di  Stato,
          spesso poveri di contributi teorici, ebbero importanza perché supporto ideologico
          della nuova realtà che andava affermandosi in Europa, l’assolutismo: in base a esso
          ai  sudditi  non  era  riconosciuto  alcun  diritto  naturale  anteriore  allo  Stato,  che  —
          come affermava Hobbes — nasce dalla rinunzia degli individui ai propri diritti in

          favore del sovrano. Il superamento del concetto di ragion di Stato avvenne quindi
          con la formazione dello Stato limitato (o Stato di diritto), il potere del quale trova
          dei  limiti  nei  diritti  naturali  degli  individui,  la  cui  inviolabilità  lo  Stato  deve
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