Page 700 - Dizionario di Filosofia
P. 700
obiettiva, il realismo filosofico si può distinguere molto approssimativamente nelle
due correnti del realismo idealistico e del realismo materialistico. Il realismo
idealistico, nella formulazione classica di Platone, sostiene che le idee hanno
un’esistenza oggettiva indipendente, in un mondo diverso da quello sensibile.
L’anima umana le può conoscere proprio perché è simile a loro per la sua natura e
provenienza. L’oblio che accompagna la caduta dell’anima nel corpo può essere
vinto, verificandosi certe occasioni e con determinati procedimenti, e la conoscenza
che ne consegue è dunque solo un effetto del ricordare (anamnesi* o reminiscenza).
Al realismo platonico si riallacciano quei pensatori della scolastica che ammettono
la realtà degli universalis e sostengono che questi non possono perciò essere ridotti
a puri contenuti mentali. Loro avversari erano i nominalisti, seguaci di Roscellino,
che facevano coincidere l’universale con il mero suono della parola che lo esprime
(flatus vocis), e i concettualisti, per i quali, seguendo Abelardo, il concetto, ente
esclusivamente mentale, ha una sua universalità predicabile (sermo praedicabilis).
Al realismo idealistico può essere anche ricondotta la teoria di Spinoza dell’« idea
adeguata », cioè dell’idea che, « considerata in sé, senza relazione all’oggetto, ha
tutte le proprietà o denominazioni intrinseche dell’idea vera » (Etica, II, def. IV). Nel
XIX sec. tornò al realismo idealistico Lotze, con la sua teoria delle essenze obiettive;
rientra pure nello stesso orientamento la dottrina assai diffusa fra i matematici e i
logici moderni e contemporanei, secondo la quale gli enti e le verità logico-
matematiche (così come, per altri, i valori) non sono « creati », ma solo « scoperti »
dalla mente dell’uomo. Come scrisse C. Hermite, « i numeri e le funzioni dell’analisi
non sono prodotti arbitrari del nostro spirito: io penso che essi esistano fuori di noi
con lo stesso carattere di necessità che hanno le cose della realtà oggettiva ».
Il realismo materialistico ha assunto nella storia della filosofia molteplici forme,
aventi comunque tutte in comune l’affermazione basilare dell’esistenza degli enti del
mondo fisico, indipendentemente dal loro essere compresi o no nel processo della
conoscenza. W. Hamilton lo chiamò realismo naturale; O. Külpe realismo
scientifico. In un primo momento la tesi dell’origine puramente empirica della nostra
conoscenza ha condotto, come appare dalla storia della filosofia inglese da Locke a
Hume, a una posizione agnostica: l’uomo ha a che fare con rappresentazioni e idce e
non può dire nulla (o quasi) sulla realtà che sta al di là di quelle. Secondo le parole
di Hume, noi possiamo pensare quanto vogliamo, « ma non riusciremo mai a fare un
passo al di là di noi stessi ». Ma dalla scuola scozzese del « senso comune », al
realismo trasfigurato di Spencer, al materialismo storico, si è sviluppato, non senza
qualche punta di dogmatismo, il rifiuto delle riserve e delle cautele empiristiche,
kantiane ed empiriocriticistiche. Lenin afferma perentoriamente, in Materialismo ed
empiriocriticismo: « Non esiste e non può esistere nessuna differenza essenziale fra
fenomeno e cosa in sé. La sola differenza reale sta fra ciò che è già noto e quello che
non lo è ancora ». Per il materialismo storico la coscienza è solo un « riflesso »
della realtà e le idee corrispondono perfettamente alle cose. In realtà tutte le
filosofie, a parte le forme di scetticismo estremo, includono per lo meno qualche
concessione al realismo oggettivo. Così per Cartesio è bensì vero che il pensiero