Page 667 - Dizionario di Filosofia
P. 667
POTENZA. Secondo la concezione di Aristotele, la capacità o possibilità di produrre
o di subire un mutamento: Veggente è chi ha la potenza di vedere (Aristotele). • In
potenza, nel linguaggio aristotelico-scolastico, di ciò che tende a realizzarsi, senza
esistere ancora in atto.
PRAGMÀTICA. Termine usato da C. Morris per designare una delle tre parti in cui si
divide la semiotica*, o scienza dei segni: la pragmatica (distinta dalla semantica e
dalla sintattica) ha per oggetto il rapporto fra segno e interprete.
PRAGMATICISMO. Termine usato negli scritti più tardi dal pensatore americano
Charles S. Peirce espressamente per differenziare la sua filosofia dal pragmatismo*
di W. James.
PRAGMÀTICO o PRAMMÀTICO. Il termine, oltre al suo significato generale di «
pratico », ha acquisito quello più specifico che include un riferimento alla positività
o addirittura all’esemplarità dell’azione fin da Polibio, che definisce appunto
pragmatika la sua storia, ovvero narrazione rigorosa dei fatti (gr. prágma) senza
nessuna concessione alla fantasia e alla retorica, così da acquistare alla fine un
carattere di modello, di utilità universale.
Tale accezione, mantenutasi nella tradizione giuridica tedesca, è presente anche in
Kant, che chiama pragmatici gli imperativi ipotetici della prudenza, perché fine delle
azioni da essi prescritte è il benessere degli uomini. Analogamente un’opera minore
di Kant è intitolata Antropologia dal punto di vista pragmatico per sottolineare che
essa studia non l’uomo naturale, ma l’uomo come risultato del suo libero agire. Fra i
vari tipi di storiografia distinti da Hegel nelle Lezioni sulla filosofia della storia c’è
la « storia pragmatica », vale a dire quella in cui la narrazione dei fatti è arricchita
da considerazioni morali e politiche.
PRAGMATISMO (dal gr. prágma -atos, azione). Concezione filosofica secondo la
quale il valore di verità di un’idea è funzione delle conseguenze pratiche di questa.
La parola, intesa nel suo senso storicamente determinato, designa un indirizzo
particolare della filosofia moderna, emerso nella cultura americana e, in alcuni casi
di riflesso, in altri autonomamente, in quella europea, tra la fine del XIX e il
principio del XX sec. I rappresentanti più significativi del movimento sono C. S.
Peirce, W. James e (con molta indipendenza di atteggiamenti) J. Dewey in America;
F. S. Schiller in Inghilterra; M. de Unamuno e J. Ortega y Gasset in Spagna; M.
Calderoni e G. Vailati in Italia. Nella cultura tedesca anteriore alla prima guerra
mondiale può essere considerata un equivalente del pragmatismo la filosofia del «
come se » di H. Vaihinger*. In Francia sono molto stretti i legami fra bergsonismo,
modernismo e pragmatismo: figura esemplare di questo incontro è E. Le Roy, la cui
riduzione del dogma a valore puramente pragmatico fu duramente condannata da Pio
X. Infine G. Papini e G. Prezzolini si fecero in Italia banditori del pragmatismo con
la fondazione della rivista Il Leonardo (1903), ma la loro contestazione
antiaccademica e il loro irrazionalismo si alimentarono prevalentemente di idee di
riflesso e talora incoerenti.
Dinanzi alla molteplicità degli atteggiamenti dei singoli pensatori è necessario
distinguere almeno due aspetti fondamentali del pragmatismo. Da un lato, sulla linea