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POTENZA. Secondo la concezione di Aristotele, la capacità o possibilità di produrre

          o di subire un mutamento: Veggente è chi ha la potenza di vedere (Aristotele). • In
          potenza, nel linguaggio aristotelico-scolastico, di ciò che tende a realizzarsi, senza
          esistere ancora in atto.
          PRAGMÀTICA. Termine usato da C. Morris per designare una delle tre parti in cui si

          divide la semiotica*, o scienza dei segni: la pragmatica (distinta dalla semantica e
          dalla sintattica) ha per oggetto il rapporto fra segno e interprete.
          PRAGMATICISMO.  Termine  usato  negli  scritti  più  tardi  dal  pensatore  americano
          Charles S. Peirce espressamente per differenziare la sua filosofia dal pragmatismo*
          di W. James.

          PRAGMÀTICO  o PRAMMÀTICO.  Il  termine,  oltre  al  suo  significato  generale  di  «
          pratico », ha acquisito quello più specifico che include un riferimento alla positività
          o  addirittura  all’esemplarità  dell’azione  fin  da  Polibio,  che  definisce  appunto
          pragmatika  la  sua  storia,  ovvero  narrazione  rigorosa  dei  fatti  (gr. prágma)  senza
          nessuna  concessione  alla  fantasia  e  alla  retorica,  così  da  acquistare  alla  fine  un
          carattere di modello, di utilità universale.

          Tale accezione, mantenutasi nella tradizione giuridica tedesca, è presente anche in
          Kant, che chiama pragmatici gli imperativi ipotetici della prudenza, perché fine delle
          azioni da essi prescritte è il benessere degli uomini. Analogamente un’opera minore
          di Kant è intitolata Antropologia dal punto di vista pragmatico per sottolineare che
          essa studia non l’uomo naturale, ma l’uomo come risultato del suo libero agire. Fra i
          vari tipi di storiografia distinti da Hegel nelle Lezioni sulla filosofia della storia c’è
          la « storia pragmatica », vale a dire quella in cui la narrazione dei fatti è arricchita

          da considerazioni morali e politiche.
          PRAGMATISMO  (dal  gr. prágma  -atos,  azione).  Concezione  filosofica  secondo  la
          quale il valore di verità di un’idea è funzione delle conseguenze pratiche di questa.
          La  parola,  intesa  nel  suo  senso  storicamente  determinato,  designa  un  indirizzo
          particolare della filosofia moderna, emerso nella cultura americana e, in alcuni casi

          di  riflesso,  in  altri  autonomamente,  in  quella  europea,  tra  la  fine  del  XIX  e  il
          principio  del XX  sec.  I  rappresentanti  più  significativi  del  movimento  sono  C.  S.
          Peirce, W. James e (con molta indipendenza di atteggiamenti) J. Dewey in America;
          F.  S.  Schiller  in  Inghilterra;  M.  de  Unamuno  e  J.  Ortega  y  Gasset  in  Spagna;  M.
          Calderoni  e  G.  Vailati  in  Italia.  Nella  cultura  tedesca  anteriore  alla  prima  guerra
          mondiale può essere considerata un equivalente del pragmatismo la filosofia del «
          come se » di H. Vaihinger*. In Francia sono molto stretti i legami fra bergsonismo,

          modernismo e pragmatismo: figura esemplare di questo incontro è E. Le Roy, la cui
          riduzione del dogma a valore puramente pragmatico fu duramente condannata da Pio
          X. Infine G. Papini e G. Prezzolini si fecero in Italia banditori del pragmatismo con
          la  fondazione  della  rivista Il  Leonardo  (1903),  ma  la  loro  contestazione
          antiaccademica e il loro irrazionalismo si alimentarono prevalentemente di idee di

          riflesso e talora incoerenti.
          Dinanzi  alla  molteplicità  degli  atteggiamenti  dei  singoli  pensatori  è  necessario
          distinguere almeno due aspetti fondamentali del pragmatismo. Da un lato, sulla linea
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