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PRINCIPIO.  Ai  primordi  del  pensiero  greco  il  tema  fondamentale  della  ricerca

          filosofica fu il principio (in gr. arché) delle cose, nel duplice significato di « inizio
          temporale » e di « ragion d’essere » di esse. Platone usò il termine per designare
          tanto  la  causa  di  un  evento,  quanto  la  premessa  di  una  dimostrazione. Aristotele,
          sempre attento a mettere ordine là dove si usava « parlare con molti significati »,
          elencò nella Metafisica tutte le possibili accezioni di « principio », concludendo che
          il termine si applica a ciò che è primo o nell’essere, o nel divenire, o nel conoscere.

          Così sono principi la materia e la forma, le premesse noetiche della dimostrazione,
          l’incompatibilità  dell’affermazione  e  della  negazione  relative  allo  stesso  oggetto
          (principio di non contraddizione, alla dignità del quale il pensiero medievale elevò
          anche  quello  di  identità  e  quello  del  terzo  escluso,  costituendo  così  la  triade
          canonica  dei  principi  logici).  Nella  scolastica  fu  motivo  di  aspre  controversie  la
          ricerca del principio di individuazione, vale a dire del fondamento metafisico della
          particolarità dell’individuo.

          Sempre in uno dei sensi distinti da Aristotele, il termine principio ha designato e
          designa  nelle  trattazioni  di  impianto  sistematico  le  verità  fondamentali  da  cui  il
          complesso delle altre proposizioni può essere dedotto. La determinazione di quelle
          verità è ovviamente un compito preliminare, ai fini della costruzione del sistema, e il
          termine  ricorre  perciò  in  molti  titoli  di  opere  classiche  del  pensiero: Principia
          philosophiae  (1644)  di  Cartesio, Principi della natura e della grazia (scritta nel

          1714,  pubblicata  nel  1718)  di  Leibniz, Principi  dell’economia  politica  e
          dell’imposta  (1817)  di  Ricardo, Primi  principi  (1862)  di  Spencer, Principi  di
          psicologia  (1891)  di  W.  James, Principia mathematica (1910-1913) di  Russell e
          Whitehead, ecc.
          Analogamente, nelle scienze della natura vengono chiamati principi quelle leggi o
          quelle  regole  metodologiche  a  cui  si  attribuisce,  rispetto  alle  altre,  un  valore
          privilegiato di evidenza o di generalità (principio di causalità, del minimo mezzo,

          di Archimede, principi della termodinamica, ecc.).
          Nella  scienza  contemporanea  il  concetto  di  principio  ha  conservato  diritto  di
          cittadinanza, ma ha perduto per così dire le sue prerogative sovrane. La ricerca esige
          nelle sue varie prospettive l’assunzione di punti di partenza e di regole di metodo,
          ma  la  scelta  di  essi  ubbidisce  solo  a  criteri  di  funzionalità  e  di  strumentalità.  La

          matematizzazione  della  logica,  infine,  ha  fatto  prevalere  l’uso  di  assioma*  e  di
          postulato* per designare le premesse non dimostrate del discorso.
          PRIVAZIONE.  In  Aristotele  la  privazione  (in  gr. stérēsis)  si  presenta  come  un
          principio della realtà, correlativo dell’atto e opposto alla potenza: la privazione è
          l’esclusione  di  uno  dei  due  contrari  che  sono  in  potenza,  mentre  l’atto  è  la
          realizzazione dell’altro contrario. Alcuni padri della Chiesa utilizzarono il concetto

          di privazione per dare una connotazione concettuale coerente al male, la cui realtà
          pareva  incompatibile  con  l’infinita  bontà  del  Creatore:  secondo  sant’Agostino,
          nessuna  natura  è  male  e  tale  termine  designa  solo  la  privazione  del  bene,  ovvero
          dell’essere.  Su  questa  riduzione  del  male  a  privazione  è  concorde  quasi  tutto  il
          pensiero medievale. Il motivo viene ripreso nei Saggi di teodicea di Leibniz: tutto
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