Page 675 - Dizionario di Filosofia
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of Proclus, Nuova York 1949; G. Martano, L’uomo e Dio in Proclo, Napoli 1953;

          G.  Santinello, Saggi  sull’«  umanesimo  » di  Proclo,  Bologna  1966;  P.  Bastid,
          Proclus et le crépuscule de la pensée grecque, Parigi 1969; S. Breton, Philosophie
          et mathématiques chez Proclus, Parigi 1969.
          PRÒDICO di Ceo, in gr. Pródikos, sofista greco (nato a Ceo, isole Cicladi, fra il 470

          e  il  460  a.C.).  Fu  più  volte  in  Atene  come  ambasciatore,  incontrandovi  largo
          successo, sia come oratore politico, sia come maestro di eloquenza dei giovani delle
          classi  più  agiate.  Fu  uno  dei  maggiori  rappresentanti  della  prima  generazione
          sofistica  e  rivolse  le  sue  indagini  soprattutto  alla  etimologia  delle  parole  e  alla
          sinonimica,  sulla  base  del  convincimento  che  il  significato  convenzionale  di  ogni
          termine fosse il risultato evolutivo di una originaria « naturalità » di esso. Restano i
          titoli di tre sue opere: Ôrai (Le stagioni dell’anno [?]); Perì phýseōs (Sulla natura)

          e  Perì  phýseōs  anthropu  (Sulla  natura  dell’uomo);  nella  prima  doveva  essere
          contenuto l’apologo di Eracle tra il Vizio e la Virtù tramandatoci da Senofonte nei
          Memorabilia Socratis. È uno dei personaggi del Protagora di Platone.
          Bibliogr.: V. SOFISTICA.

          PROGRESSO.  La  nozione  di  progresso  come  individuazione  del  senso  della  storia
          emerge agli inizi dell’età moderna. Il mondo classico interpretava gli eventi umani o
          nella  prospettiva  della  decadenza  da  una  perfezione  originaria  o  in  quella  della
          ripetizione ciclica. L’escatologia cristiana vede la storia correre verso la catastrofe
          del compimento dei tempi, ma include anche il motivo di una perfezione finale del
          mondo,  come  «  l’età  dello  Spirito  Santo  »  profetizzata  da  Gioacchino  da  Fiore.

          Tuttavia  l’idea  della  verità  come  prodotto  del  processo  storico  (veritas  filia
          temporis) e quella correlativa dell’incremento in funzione del tempo del sapere e del
          potere  dell’uomo  rivelano  la  loro  forza  rivoluzionaria  solo  a  partire  dal
          Rinascimento.  Bruno  considera  nella Cena  de  le  ceneri  (1584)  l’astronomia
          copernicana come una conseguenza della maturità raggiunta dai moderni rispetto agli
          antichi e Bacone nel Novum Organum (1620) ribadisce che noi abbiamo il diritto di

          considerarci  più  informati  e  più  capaci  di  quei  nostri  padri  lontani.  Pascal,  nel
          frammento della Prefazione per un trattato sul vuoto (1647), argomenta allo stesso
          modo, osservando che « quelli che noi chiamiamo antichi … formavano l’infanzia
          degli uomini ». Il progresso del sapere ha come corrispettivo necessario l’aumento
          del  potere  dell’uomo  sulla  natura:  questo  tema  centrale  del  pensiero  di  Bacone  è
          ripreso anche da Cartesio nel Discorso sul metodo (1637) e diventa rapidamente un
          luogo comune dell’ottimismo progressista.

          Nel XVIII  sec.  la  nozione  di  progresso  si  libera  dalle  strettoie  tematiche  della
          Polemica degli antichi e dei moderni e si afferma come criterio di interpretazione
          globale della storia dell’umanità. Voltaire descrive l’incessante affinarsi delle arti e
          dei  costumi  (Saggio  sui  costumi  e  lo  spirito  delle  nazioni,  1756).  Condorcet
          ricostruisce lo sviluppo dell’umanità attraverso nove tappe decisive e conclude: «

          L’età dell’oro è davanti a noi » (Schizzo di un quadro storico dei progressi dello
          spirito umano, 1794).
          Kant individua la linea del progresso dell’umanità nella sostituzione del diritto alla
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