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Considerazioni di un impolitico (1918).  Spengler a sua volta considera la civiltà

          come l’ultimo stadio delle culture giunte alla fine del loro ciclo vitale (Il declino
          dell’Occidente, 1918-1922). Anche la scelta oggi abbastanza diffusa di modi di vita
          e di pratiche di saggezza ispirati alle culture orientali non contaminate dal progresso
          tecnico-scientifico  ha  avuto  uno  dei  suoi  profeti  nel  filosofo  tedesco  H.  von
          Keyserling (Giornale di viaggio di un filosofo, 1919).
          Una  riduzione  critica  del  concetto  di  progresso,  fatta  alla  luce  delle  correnti  più

          aperte della filosofia contemporanea, porta alle seguenti conclusioni: 1. il progresso
          come direzione necessaria della storia è una prospettiva inverificabile e ha senso
          solo nell’ambito di un provvidenzialismo dogmatico; 2. il progresso della scienza e
          della tecnica non produce automaticamente un incremento degli altri valori di civiltà;
          3.  il  progresso,  qualunque  sia  il  sistema  di  riferimento  entro  il  quale  la  nozione
          acquista senso, è uno degli esiti possibili dell’azione intelligente dell’uomo.

          Bibliogr.:  J.  Delvaille, Essai  sur  l’histoire  du  progrès  jusqu’à  la  fin  du  XVIII         e
          siècle,  Parigi 1910;  J.  Bury, The idea of progress,  Londra 1920 (trad. it.:  Milano
          1964);  M.  Ghio, L’idea di progresso nell’illuminismo francese e tedesco,  Torino
          1962; Ch. Van Doren, The idea of progress, Nuova York 1967.

          PROLETARIATO. Nella dottrina marxista, la classe dei lavoratori la cui unica risorsa
          di vita è costituita dalla vendita della forza-lavoro. Il termine, introdotto dal Saint-
          Simon  in  luogo  dei  tradizionali  «  plebe  »  e  «  popolo  »  usati  dalla  pubblicistica
          politica durante e dopo la Rivoluzione francese, fu accolto dai socialisti « utopisti »
          e precisato nel suo senso tecnico da Marx.

          PROLESSI (gr. prólēpsis, anticipazione). Nella logica degli stoici e degli epicurei, il
          concetto  come  anticipazione  dei  dati  dell’esperienza.  Secondo  la  gnoseologia
          epicurea le nozioni derivate dall’esperienza assumono nella nostra memoria la forma
          di  immagini  stabili,  che  permettono  di  anticipare  (prolessi,  ovvero  «
          preafferrameneto ») le ulteriori impressioni. Il contenuto della prolessi è racchiuso

          nel  nome  della  cosa.  Dalla  prolessi  deriva  l’opinione,  che  resta  una  semplice
          presunzione (ipolessi), finché non viene convincentemente confermata da molteplici
          verifiche empiriche. Anche gli stoici assegnano nel processo della conoscenza una
          funzione  importante  alle  prolessi,  che  sono  «  nozioni  comuni  »:  esse  si  formano
          nell’uomo  per  necessaria  concrezione  delle  impressioni  e  condizionano  lo
          svolgimento del discorso logico. (V. anche ANTICIPAZIONE.)

          PROPOSIZIONE.  Nella  logica  classica,  enunciazione  di  uno  stato  di  fatto,  che  può
          essere  presentato  come  affermato,  messo  in  dubbio  o  negato,  come  potenziale,
          eventuale o attuale, come certo o incerto, ecc., e che si differenzia dal giudizio* in
          quanto  prescinde  dall’assenso  della  mente:  Come  realizzazione  linguistica  del
          giudizio la proposizione può assumere una qualunque delle modalità* di esso. Nella
          logica  moderna,  a  partire  da  Kant,  i  due  termini  sono  tuttavia  spesso  usati

          sinonimicamente.
          • Il calcolo delle proposizioni della logica classica coincide sostanzialmente con la
          sillogistica*, dalla prima impostazione di Aristotele all’estrema formalizzazione dei
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