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padovano, passò a Ferrara, nel 1512 a Bologna, dove finì i suoi giorni suicida.

          Pomponazzi è il maggiore dei filosofi aristotelici italiani del Cinquecento, ma la sua
          classificazione  nell’ambito  dell’aristotelismo  deve  essere  intesa  con  molta
          larghezza: egli fu anche critico severo di Aristotele, come pure di Averroè. Per lui la
          filosofia è aspra e coraggiosa ricerca, che non si arresta dinanzi ad alcun dogma e
          non riconosce altra guida al di fuori della ragione. Secondo le sue stesse parole, «
          conviene che sia eretico in filosofia colui che desidera trovare la verità ».  Dopo

          essersi occupato di fisica e di logica, pubblicò nel 1516 il suo scritto più famoso, il
          trattato De immortalitate animae, per il quale gli furono mosse da più parti accuse
          di empietà, senza che egli ne venisse peraltro danneggiato, grazie anche all’appoggio
          di Pietro Bembo. A queste egli rispose anzi con un’Apologia (1518) che gli procurò
          gli  attacchi  di  Agostino  Nifo  (Tractatus  de  immortalitate  animae  contra
          Pomponatium,  1518).  La  tesi  centrale  del  trattato  è  che  l’esistenza  separata
          dell’anima, alla maniera platonica, è una nozione assurda, dal momento che tutte le

          operazioni  dell’anima  umana  implicano  un  dato  sensibile.  All’obiezione  che  il
          dubbio  sull’immortalità  —  logica  conseguenza  della  negazione  dell’esistenza
          separata dell’anima — vanifichi la vita morale, Pomponazzi risponde che la virtù e
          il vizio hanno in se stessi il premio e la punizione. La separazione rigorosa fra il
          momento  religioso,  concepito  come  atto  di  fede  e  di  ossequio  all’autorità  della
          Chiesa, e l’esigenza scientifica è evidente anche nelle altre due maggiori opere del

          Pomponazzi,  finite  di  scrivere  entrambe  nel  1520  e  pubblicate  postume:  il De
          naturalium effectuum admirandorum causis, sive de incantationibus,  nel  quale  i
          miracoli e i fatti portentosi vengono tutti spiegati come eventi naturali, nell’ambito
          del determinismo astrologico, e il De jato, libero arbitrio et praedestinatione, nel
          quale si sostiene che l’unica concezione dell’universo conforme a ragione è quella
          della necessità assoluta di tutto, sulla linea del fatalismo stoico. L’ultima opera di
          Pomponazzi fu il Tractatus de nutritione et augmentatione, scritta nel 1521, nella

          quale l’intima connessione tra l’anima e il corpo è spinta al punto da far pensare alla
          materialità della prima.
          Per  la  spregiudicatezza  della  sua  interpretazione  della  dottrina  di  Aristotele,
          condotta, fuori dall’ortodossia tomistica, lungo la linea inaugurata da Alessandro di
          Afrodisia, e per l’originalità della propria speculazione, Pomponazzi è non solo una

          delle figure salienti del pensiero rinascimentale italiano, ma anche, per certi aspetti
          (come ad esempio la separazione di fede e ragione), un anticipatore della filosofia
          moderna.
          Bibliogr.: F. Fiorentino, Piero Pomponazzi, studi storici su la scuola bolognese e
          padovana del secolo XVI con molti documenti inediti, Firenze 1868; A. H. Douglas,
          The philosophy and psychology of Piero Pomponazzi, Cambridge 1910; B. Nardi,

          Studi su Piero Pomponazzi, Firenze 1965.
          POPPER (Karl), filosofo austriaco (Vienna 1902). Professore di logica all’università
          di Londra dal 1945, per le sue ricerche si colloca nell’ambito del circolo di Vienna
          (v.  VIENNA  [circolo  di]),  dal  quale  tuttavia  si  differenzia  per  talune  posizioni

          personali. In particolare, egli ha respinto il criterio di significanza elaborato dallo
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