Page 66 - Dizionario di Filosofia
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Bibliogr.: H. B, Curry, Leçons de Logique algébrique, Parigi-Lovanio 1954; E. W.
Beth, Les fondements logiques des mathématiques, Parigi-Lovanio 1955; Dubarle,
Initiation à la logique, Parigi-Lovanio 1957.
ALIENAZIONE. Nella filosofia contemporanea, da Hegel in poi, il termine alienazione
è venuto a significare in particolare quel processo per cui ciò che è proprio
dell’uomo, in quanto appartiene al suo essere o è prodotto della sua attività, gli
diventa estraneo, qualcosa d’altro da sé. L’interiorità dell’uomo si perde: non sono
più sue le cose che ha creato; gli strumenti stessi che ha foggiato e utilizzato per
dominare la natura, quali la società, il lavoro, il linguaggio, la cultura, gli si
rivolgono contro, a suo danno, diventano una « negazione dell’umano »: la società
può trasformarsi in strumento di oppressione per una parte dei suoi membri, il lavoro
può divenire un onere annichilente e ingiusto; il linguaggio, un puro gioco di
immagini e di astrazioni vuote di contenuto; la filosofia e la scienza infine possono
significare l’infelicità dell’umanità. Tuttavia in Hegel e nell’idealismo il contrasto
non viene posto in termini così drammatici: il momento dell’alienazione, per cui gli
oggetti vengono considerati come una realtà a sé, indipendente dallo spirito, viene
superato nei successivi momenti della dialettica spirituale, da una più alta
consapevolezza che risolve ogni alterità nell’unità del soggetto pensante. A
conclusioni diverse giunge Marx. Per quanto il suo concetto d’alienazione sia
derivato da Hegel, Marx è rimasto fortemente influenzato dall’analisi che Feuerbach
aveva fatto a proposito dell’alienazione religiosa. Per Feuerbach l’alienazione
consiste in quel processo per cui noi proiettiamo in Dio, ossia in un essere che
consideriamo indipendente e altro da noi, le nostre esigenze e i nostri ideali umani.
Qualcosa di simile, secondo Marx, avviene nella società capitalistica per i prodotti
del lavoro umano, i quali non vengono più considerati come realizzazioni dell’uomo,
ma come merci, ossia come cose a lui estranee. Pertanto la condizione dell’uomo «
alienato » può essere superata solo in una società dove venga riconosciuto il valore
umano dei prodotti del lavoro, dove il rapporto tra l’uomo e le cose non sia più
soltanto quello del possesso. Il tema del contrasto tra l’uomo e il mondo che lo
circonda viene esasperato in diverse correnti esistenzialistiche contemporanee, le
quali considerano la condizione drammatica dell’uomo « alienato » come il risultato
della civiltà moderna meccanizzata, indipendentemente dal tipo di società nella
quale essa ha trovato sviluppo, in quanto il progresso della tecnica e dell’industria,
la produzione in serie, il sorgere di grandi agglomerati urbani, ecc. ha portato a un
livellamento di gusti e di comportamenti, ha reso l’uomo un ingranaggio di una
macchina, gettandolo in una situazione spirituale di smarrimento di fronte a un mondo
che gli è estraneo e ostile.
ALIÒTTA (Antonio), filosofo italiano (Palermo 1881 - Napoli 1964), professore di
filosofia teoretica all’università di Padova (1913-1919) e di Napoli (1919-1951).
Opponendosi all’idealismo neohegeliano, ha difeso il valore conoscitivo della
scienza, sostenendo un radicale sperimentalismo, che ammette una pluralità di centri
di esperienza e il loro progressivo coordinamento verso una unità suprema: tale
unità, posta come meta finale, è intesa come coscienza assoluta e s’identifica con