Page 646 - Dizionario di Filosofia
P. 646

discorso di autodifesa tenuto dal maestro davanti ai giudici; nel Critone*  Socrate,

          lungi  dal  disprezzare  le  leggi  della  sua  città,  preferisce  la  morte  a  un’agevole
          evasione  dal  carcere,  proprio  per  ossequio  alla  legge.  I  temi  affrontati  in  questo
          primo gruppo di dialoghi sono quelli della virtù e della vera sapienza: per Socrate,
          che in essi inizia e conduce la discussione, la virtù si risolve nella scienza del bene e
          del male, e quindi nella ricerca razionale; i suoi interlocutori, che sono in genere
          personaggi della cultura e della vita politica di quei tempi, soprattutto « sofisti » (da

          essi prendono nome i dialoghi: Carmide*, Lachete*, Liside*, Protagora*, Gorgia*,
          Eutifrone*,  Menone*,  Eutidemo),  sono  inizialmente  sicuri  di  sé,  delle  proprie
          convinzioni:  di  fronte  a  essi  Socrate  finge  invece  di  non  sapere  e,  attraverso  una
          serie  di  domande  serrate,  mette  in  crisi  tale  sicurezza,  mostrando  l’unilateralità  e
          l’interiore contraddittorietà delle loro tesi, e perciò suscita il dubbio e il desiderio
          di approfondire la ricerca. In tale procedimento consiste T« ironia » socratica; ma,
          oltre a questa parte negativa, Socrate ne svolge anche una positiva, mostrando come

          ciascuno  sia  in  grado  di  «  partorire  »  da  se  stesso  la  verità  (ossia  definizioni  e
          conoscenze universalmente valide), con l’aiuto della sua arte « maieutica », che egli
          dice  di  aver  ereditato  dalla  madre  levatrice.  Però  l’esigenza  della  ricerca  e
          l’affermazione del valore di una conoscenza universale e necessaria non bastano a
          Platone, il quale tende a dare un fondamento oggettivo a tale conoscenza, radicato in
          una  più  profonda  realtà.  E  già  nell’Eutifrone  e  nel Menone  egli  abbozza  quella

          teoria  delle  idee,  che  segna  il  suo  distacco  dal  pensiero  socratico  e  intorno  alla
          quale si verrà in seguito svolgendo tutta la sua riflessione.
          I dialoghi della piena maturità del pensiero platonico, probabilmente posteriori al
          primo viaggio in Sicilia (388) e alla fondazione dell’Accademia (387 circa), sono
          quelli in cui egli costruisce il suo sistema, ricavandone tutte le possibili conseguenze
          anche  di  carattere  etico-politico:  il Cratilo*  (sul  linguaggio), Il  convito*
          (sull’amore), il Fedone* (sull’immortalità dell’anima) e soprattutto La repubblica*

          (in dieci libri), che è il più ampio degli scritti di Platone e la cui composizione deve
          aver occupato un periodo di parecchi anni. Il fondamento dell’universalità e della
          necessità  dei  nostri  concetti  è  costituito  dalle  «  idee  »,  ossia  da  modelli  eterni  e
          immutabili, concepiti come essenze incorporee, aventi una propria realtà oggettiva,
          puramente  intelligibile,  in  un  mondo  (iperuranio)  diverso  da  quello  sensibile,  il

          quale è anzi soltanto la copia e la pallida immagine della vera realtà, che appunto si
          identifica  con  il  mondo  delle  idee.  Quando  noi  cerchiamo  di  stabilire  in  modo
          rigorosamente scientifico che cosa sia il bello o che cosa sia il giusto, non possiamo
          riferirci alle singole cose del nostro mondo sensibile, che è sempre mutevole, né ci
          bastano opinioni approssimative, ma occorre guardare al bello in sé e al giusto in sé,
          cioè a qualcosa che è sempre identico a se stesso, ed è tale in quanto è l’essenza
          ideale del bello o del giusto: solo per partecipazione* a tale essenza le singole cose
          belle sono belle, e le azioni giuste sono giuste. Oggetto della filosofia, intesa come

          scienza suprema, è proprio la contemplazione di tali essenze ideali, che sono stabili,
          non mutano con il divenire dell’esperienza.
          Ma  se  non  possiamo  conoscere  le  idee  attraverso  l’esperienza,  in  che  modo
   641   642   643   644   645   646   647   648   649   650   651