Page 640 - Dizionario di Filosofia
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intuitivo,  a  quello  operativo,  sino  a  quello  formale  astratto.  Opere  principali: Il

          linguaggio  e  il  pensiero  nel  fanciullo  (1923), Il  giudizio  e  il  ragionamento  nel
          fanciullo (1925), La rappresentazione del mondo nel fanciullo (1926), Il giudizio
          morale net fanciullo (1932), La nascita dell’intelligenza nel fanciullo  (1936), La
          formazione  del  simbolo  nel  fanciullo  (1945), La  psicologia  dell’intelligenza
          (1947), Introduzione all’epistemologia genetica (1949-1951).

          Bibliogr.: G. Petter, Lo sviluppo mentale nelle ricerche di Piaget, Firenze 1966; J.
          H.  Flavell, Developmental psychology of  Jean  Piaget,  Princeton 1963;  H. Aebli,
          Rilievi sullo sviluppo mentale del bambino, Firenze 1968; H. Ginsburg e S. Opper,
          Introduction  to  Piaget’s  theory  of  intellectual  development,  Englewood  Cliffs
          1969;  D.  Elkind, Children and adolescents: interpretation essays on the work of
          Jean  Piaget,  Nuova  York  1970;  D.  M.  G.  Hyde, Piaget  and  conceptual

          development, Nuova York 1970.
          PICO  DELLA  MIRÀNDOLA(Giovanni),  umanista  e  filosofo  italiano  (Mirandola,
          Modena, 1463 - Firenze 1494). Studiò a Bologna (1477-1478), a Ferrara (1479) e a
          Padova  (1480-1482),  dove  venne  in  contatto  con  l’averroismo,  che  quivi  era

          insegnato da Nicoletto Vernia ed Elia del Medigo, e quindi a Pavia. Nel 1484 si recò
          a Firenze, dove divenne intimo di Lorenzo il Magnifico, del Poliziano e del Ficino e
          dove frequentò assiduamente l’Accademia platonica. Dotato di ingegno precoce e di
          memoria  prodigiosa,  poi  rimasta  proverbiale,  si  formò  rapidamente  una  cultura
          molto vasta e varia, comprendente anche la conoscenza diretta delle lingue ebraica,
          araba  e  caldea.  Maturava  intanto  la  sua  concezione  filosofica,  fondata  (come
          dimostrano la lettera al Magnifico del 1484 e quella all’umanista Ermolao Barbaro

          del  1485)  sul  rifiuto  dell’ideale  puramente  formale  proprio  dell’Umanesimo
          imperante, in nome della ricerca di una verità profonda e universale. Allo scopo di
          approfondire lo studio della filosofia scolastica e averroistica, ormai respinte come
          « barbare » dal platonismo dominante, si recò nel 1485 a Parigi, nella cui università
          esse costituivano ancora l’orientamento prevalente. Tornato in Italia, nel dicembre
          del  1486  pubblicò  a  Roma  le  sue  celebri  novecento  tesi,  sotto  il  titolo  di

          Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae, con l’intento di sostenerle
          in  una  pubblica  disputa,  alla  quale  avrebbero  dovuto  partecipare  tutti  i  maggiori
          ingegni del tempo. L’opera attesta la sterminata erudizione del giovane autore, che
          attinse  le  proposizioni  dalle  più  diverse  tradizioni  filosofiche  e  culturali,  con  il
          proposito  di  dimostrare  che  il  cristianesimo  è  il  punto  di  convergenza  di  tutte  le
          precedenti  manifestazioni  del  pensiero.  Solo  tredici  tesi  furono  dapprima
          riconosciute  sospette  di  eresia,  ma,  dopo  che  Pico  ebbe  incautamente  accusato  i

          giudici in una sua Apologia, la condanna coinvolse l’opera intera (1487). Fuggito in
          Francia, Pico fu arrestato a Lione (1488) e tenuto poi rinchiuso per tre settimane nel
          castello  di  Vincennes.  Tornato  a  Firenze  su  invito  di  Lorenzo  il  Magnifico,  entrò
          poco  dopo  (1490)  in  rapporto  con  il  Savonarola,  subendo  il  fascino  del  fervore
          religioso del domenicano ed esercitando a sua volta su di lui una notevole influenza.
          Se  infatti  Pico  giunse  fino  a  rinunciare  ai  suoi  beni  e  a  entrare  nell’ordine

          domenicano,  l’atteggiamento  antiastrologico  del  Savonarola,  in  particolare  nel IV
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