Page 633 - Dizionario di Filosofia
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Massachusetts, 1839 - Milford, Pennsylvania, 1914). Si applicò con successo a varie
discipline scientifiche, come la matematica, le geodesia, l’astronomia, l’ottica, la
chimica, e continuò a coltivarle anche quando l’interesse filosofico divenne in lui
prevalente. Fu professore alle università Harvard (1864, 1869, 1870), Johns
Hopkins (1879-1884) e al Lowell Institute di Boston (1866, 1892, 1903). Con
l’articolo Come render chiare le nostre idee, comparso nel 1882 sul Popular
Science Monthly, diede l’avvio al pragmatismo* americano. Il Peirce tornò più volte
sul suo tema filosofico preferito, in particolare negli Studi di logica (1883), in Che
cosa è il pragmatismo (1905) e in L’origine del pragmatismo (1905). La tesi
centrale del Peirce, dalla quale l’assai più nota versione del pragmatismo data da W.
James si discosta notevolmente, è che solo la funzionalità operativa verifica la
validità dei concetti scientifici. Per sottolineare la differenza tra la propria
concezione filosofica e quella di James, Peirce introdusse più tardi il termine
pragmaticismo, allo scopo di evitare l’identificazione con versioni banali della
prospettiva pragmatista.
Bibliogr.: Collected papers, 8 voll., Cambridge (Mass.), 1931-1958; in italiano:
Caso, amore, logica, Torino 1956; Pragmatismo e pragmaticismo, Padova 1966; su
P.: J. Dewey, The pragmatism of Peirce, « Journal of philosophy », 1916; T. A.
Goudge, The thought of C. S. Peirce, Toronto 1946; W. B. Gallie, Peirce and
pragmatism, Harmondsworth, 1952 (trad. it.: Firenze 1965); N. Bosco, La filosofia
pragmatica di Ch. S, Peirce, Torino 1952; A. J. Ayer, The origins of pragmatism:
studies in the philosophy of C. S. Peirce and W. James, Londra 1968.
PENSIERO. La parola pensiero può designare tanto l’insieme dei fatti psichici nel
loro complesso, quanto, più specificamente, l’attività della ragione e dell’intelletto,
in quanto distinta da quella dei sensi e della volontà. L’uso del termine nel suo senso
più estensivo è abbastanza diffuso nella filosofia moderna prima di Kant,
particolarmente nella tradizione cartesiana, nel cui ambito la percezione, il
sentimento e la volizione sono chiamati « pensieri », come più propriamente le
manifestazioni dell’intelletto e della ragione. È sulla base di questa indeterminatezza
semantica che Leibniz può sostenere che non esistono argomenti validi per escludere
che gli animali siano dotati della capacità di pensare. Tuttavia, fin dalla filosofia
greca classica, il significato di « pensiero » come attività conoscitiva distinta dalla
volontà, implicante un contatto con la realtà meno immediato e passivo di quello
della percezione sensibile, è stato di gran lunga prevalente. In Platone e in Aristotele
si trovano distinte le due forme del pensiero, che si contenderanno di volta in volta il
primato entro le grandi correnti della filosofia occidentale. Da un lato il pensiero si
presenta come nûs*, intuizione immediata dell’oggetto mentale, e dall’altro come
diánoia*, e cioè come attività discorsiva (lógos), che procede, per così dire,
circuendo il proprio oggetto, in una alternanza di domande e di risposte, di
affermazioni e di negazioni.
Nell’uso degli psicologi « pensiero » può designare tanto l’insieme dei fatti psichici,
quanto più specificamente l’attività intellettuale-razionale dell’uomo. Nel primo
significato il problema dell’indagine avente come oggetto il pensiero si identifica