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ORGANICISMO.  Dottrina  che  concepisce  l’universo  come  un  grande  organismo

          vivente. Essa è già presente nella cosmogonia orfica e ha numerosi precedenti nelle
          culture orientali. In un celebre frammento, riportato da Sesto Empirico, Zenone, dopo
          aver  osservato  fra  l’altro  che  se  l’ulivo  producesse  flauti  si  sarebbe  costretti  a
          riconoscere  alle  piante  una  certa  conoscenza  dell’arte  musicale,  si  domanda:  «
          Perché dunque non si dovrebbe ritenere animato e sapiente il mondo, che genera dal
          proprio seno esseri animati e sapienti? ». In generale l’uso di nozioni come « anima

          del mondo », « finalità intrinseca al tutto », « vita del cosmo » e simili presuppone
          una  visione  organicistica  dell’universo.  Formulazioni  suggestive  di  una  tale
          concezione si possono trovare nei pensatori del Rinascimento italiano (in particolare
          in G. Bruno) e in molti poeti e filosofi dell’età romantica. Nella filosofia del XX sec.
          si  presenta  come  un  ripensamento  critico  dell’organicismo  la  metafisica  di A.  N.
          Whitehead, mentre su tutt’altro versante la concezione del mondo del padre Teilhard
          de Chardin può essere qualificata come un organicismo cristocentrico.

          •  L’assimilazione  della  società  organizzata  all’individuo  vivente  ha  origini  molto
          antiche  e  illustri,  dall’analogia  proposta  da  Platone  nella Repubblica  fra  le  tre  «
          anime » dell’uomo e le tre classi dello  Stato, all’apologo di  Menenio Agrippa.  È
          dottrina fondamentale nel pensiero del Comte che la società umana sia un organismo
          che realizza un suo processo naturale e necessario di sviluppo. Anche lo Spencer,
          che pure è consapevole delle differenze irriducibili fra individuo e società, utilizza

          largamente  la  nozione  della  società  come  organismo.  Tale  atteggiamento  è  oggi
          ampiamente superato.
          ORÌGENE [od Origène], in gr. ōrigénēs, scrittore ecclesiastico ed esegeta cristiano
          (Alessandria  185  circa  –  Tiro  254  circa).  Figlio  di  un  martire,  Leonida,  morto
          durante  la  persecuzione  del  201-202,  nel  203,  ancora  in  età  assai  giovane  fu

          chiamato  dal  vescovo  di  Alessandria  alla  direzione  del  Didaskaleion,  cioè  della
          locale  scuola  catechetica,  che  resse  per  ventott’anni,  formando  con  il  suo
          insegnamento una folta schiera di discepoli.  Nel frattempo, conduceva una vita di
          rigido ascetismo, tanto che, prendendo alla lettera un passo di Matteo (19, 12) giunse
          a  praticarsi  l’evirazione.  Verso  il  230  fu  consacrato  sacerdote  a  Cesarea  da  un
          gruppo di vescovi suoi amici. Ciò gli valse l’ostilità del proprio vescovo Demetrio,

          il quale dichiarò nulla la sua ordinazione e lo espulse dalla Chiesa di Alessandria.
          Origene  si  stabilì  allora  a  Cesarea,  dove  fondò  una  scuola  sul  modello  di  quella
          alessandrina,  che  ebbe  grande  fioritura  e  rinomanza.  Durante  la  persecuzione  di
          Decio, fu gettato in carcere e morì in seguito alle torture subite. Non ci è giunta che
          una piccola parte dei suoi scritti, di cui parecchi nella sola traduzione latina. Tra le
          opere pervenute si annoverano lavori biblici ed esegetici; scritti ascetici e un’opera
          che  costituisce  il  primo  saggio  di  sintesi  teologica,  il Perì archôn,  giuntoci  nella

          traduzione  latina  di  Rufino  col  titolo  di De  principiis.  L’opera  di  Origene  ha
          eccezionale importanza per lo sviluppo della teologia, sia dal punto di vista della
          chiarificazione metodologica, sia da quello della riflessione sistematica. Per Origene
          la teologia consiste nel lavoro di approfondimento umano che parte dall’atto di fede
          e lo presuppone, fondandosi, come regola suprema, sull’insegnamento della Chiesa,
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