Page 612 - Dizionario di Filosofia
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lui, depositario delle idee di tutte le cose possibili, quello che ci pare di conoscere
          attraverso un contatto diretto con le realtà corporee e spirituali. Il mondo oggettivo
          non è dunque, a rigore, necessario e la nostra certezza dell’esistenza di esso ha come
          ultimo fondamento solo la fede nella bontà e veracità di Dio.

          OCÈLLO  (detto Lucano),  in  gr. Ókellos,  filosofo  pitagorico  del VI  sec.  a.C.,
          discepolo di Pitagora. Fu autore di un’opera Sulla natura dell’universo (Perì tês tû
          pantos physeōs), attribuita dai neopitagorici allo stesso maestro.
          OCKHAM (Guglielmo DI). V. GUGLIELMO DI OCCAM.

          OGGETTITÀ.  Il  mondo  considerato  come  manifestazione  od  oggettivazione  di  un
          principio.  Il  termine,  ricalcato  sul  ted. Objektität,  deriva  da  Schopenhauer,  che
          esprime con esso la relazione fra il mondo della rappresentazione e la volontà: « Il
          mondo, egli afferma, è l’oggettità della volontà ».

          OGGETTIVISMO. Concezione filosofica che, in contrapposizione con il soggettivismo,
          ammette  l’esistenza  di  una  realtà  oggettiva  (mondo  fisico,  valori,  norme)
          indipendente dalle mutevoli opinioni del soggetto. (Sin. REALISMO.)
          OGGETTIVO. Nel linguaggio della tarda scolastica è oggettivo ciò che è oggetto della
          mente, senza riferimento all’eventuale realtà o irrealtà di esso. Così i sostenitori del
          concettualismo*  chiamavano  oggettivi  gli  universali,  pur  negandone  l’esistenza

          extramentale,  e  lo  stesso  uso  del  termine  si  ritrova  in  Cartesio  e  in  altri.  Nella
          dottrina della conoscenza di Kant, invece, la qualificazione di « oggettivo » tende a
          coincidere con quella di « reale »: la conoscenza oggettiva si distingue perciò dalla
          sensazione,  intesa  come  pura  modificazione  del  soggetto.  Per  Kant  è  peraltro
          oggettiva  anche  la  legge  morale,  in  quanto  obbligante  la  volontà  di  ogni  essere
          razionale e diversa quindi per essenza dalle inclinazioni e dalle massime individuali,

          per la loro stessa natura, soggettive. In quest’ultima accezione di « valido per tutti »
          il  termine  «  oggettivo  »  è  oggi  prevalentemente  usato  nel  linguaggio  filosofico,  a
          prescindere da qualunque presa di posizione sulla natura del reale. Così un metodo
          di ricerca è oggettivo quando si attua secondo un processo controllabile e dà luogo a
          risultati suscettibili di verifica.
          OGGETTO. Nella psicologia tradizionale l’oggetto  e  il soggetto sono due momenti

          distinti,  ma  sempre  complementari  e  solidali,  di  ogni  fatto  psichico,  del  quale
          rappresentano le due facce necessarie. La psicologia moderna, invece, ha dissolto o
          per  lo  meno  attenuato  tale  polarità:  il  nesso  soggettooggetto  si  è  trasformato  nel
          rapporto fra stimolo e riflesso o in quello fra individuo e ambiente, vale a dire in
          correlazioni  meno  rigidamente  dualistiche  e  meno  cariche  di  assunzioni
          inverificabili.

          L’ambiguità  per  certi  aspetti  sconcertante  dell’uso  del  termine  oggetto  nella
          tradizione filosofica può essere chiarita solo ricordando la storia della parola. La
          matrice greca (antikéimenon, in lat. obiectum) significa ciò che sta contro e fu usata
          da Aristotele per designare un concetto opposto a un concetto dato. Al contrario il
          soggetto è ciò che sta sotto (in gr. hypokéimenon, in lat. subiectum), vale a dire è la
          sostanza alla quale ineriscono le varie qualità. In tutto il pensiero medievale, e con
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