Page 609 - Dizionario di Filosofia
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astratta  »  l’essere  e  il  nulla.  Nella  filosofia  contemporanea,  in  particolare  in

          Heidegger e Sartre, il nulla interviene come fondamento e principio di spiegazione
          della  struttura  tipica  dell’esistente.  Per  Heidegger  l’angoscia*  attesta  la  presenza
          costitutiva del nulla in quel « progetto impossibile » che è resistenza. Sartre deriva il
          « per sé », o coscienza, dalla « nientificazione » dell’ « in sé », o essere oggettivo, e

          mostra  che  il  fondamento  ontologico  della  negatività  è  il  nulla.  (V.  anche NON
          ESSERE.)

          NUMENIO, in gr. Numénios, filosofo greco (Apamea, Siria, II sec. d.C.). Seguace del
          platonismo  e  del  pitagorismo,  fu  anche  un  profondo  conoscitore  delle  religioni
          orientali  e  particolarmente  dell’ebraismo.  Tipica  espressione  di  questa  posizione
          culturale è la formula con cui egli definisce Platone: « Un Mosè che si esprime in
          attico ». Numenio sosteneva anche la sostanziale identità della dottrina pitagorica e

          di quella platonica. È il precursore più immediato del neoplatonismo, come si vede
          anche dall’embrione di teoria emanatistica che è implicito nella sua dottrina dei tre
          dei (il Padre, il Creatore e il Mondo creato). Le sue opere principali, delle quali
          sono  rimasti  ampi  frammenti,  conservatici  in  citazioni  di  Origene,  di  Eusebio  di
          Cesarea e di altri, sono: Platone e gli accademici, Le dottrine segrete di Platone,
          L’indistruttibilità dell’anima, L’iniziato, Del bene, I numeri, Il luogo.

          Bibliogr.:  S.  Guthrie, Numenius  of  Apamea,  Londra  1917;  G.  Martano, Numenio
          d’Apamea, un precursore del Neoplatonismo, Roma 1941; E, R. Dodds, Numenius
          und Ammonius,  in Les sources de Plotin, Vandoeuvres-Ginevra 1960; Ph. Merlan,
          Drei Anmerkungen zu Numenius, « Philologus », 1962.

          NUMERO. Nel pensiero greco la definizione di numero attribuita a Talete, secondo la
          quale  esso  «  è  una  collezione  di  unità  »,  fu  accetta  dai  pitagorici  e  da  Platone  e
          ripresa quasi con le stesse parole da Euclide. Caratteristica di tale concezione è la
          posizione privilegiata attribuita all’unità (monade), che viene a trovarsi fuori della
          serie  dei  numeri,  come  un’entità  autonoma  che  ha  contro  di  sé  la  molteplicità.
          Quando  i  pitagorici  affermavano  che  «  le  cose  sono  numeri  »  volevano  dire

          verosimilmente  che  intendere  le  cose  significa  delimitarle  con  linee,  e  cioè  con
          aggruppamenti variamente configurati di punti-unità. Il numero è in quest’ambito di
          pensiero strettamente connesso con le nozioni di ordine e di intelligibilità: ciò che
          non  ha  limite  non  ha  numero,  ed  è  perciò  incomprensibile.  Platone  nel Timeo
          presenta il demiurgo che costruisce il mondo secondo figure geometriche, numeri e
          proporzioni.  Fin  dalle  origini  del  pitagorismo  con  la  nozione  del  numero  come
          principio di razionalità convive tuttavia l’altra più arcaica, che carica Il numero di

          caratteri  sacrali  e  magico-simbolici:  questo  filone  dottrinario  ha  una  sua  storia
          particolare,  che  va  dalle  civiltà  preelleniche  a  Pitagora,  al  neopitagorismo,  alla
          cabala  giudaica  (secondo  la  quale  le  sostanze  emanate  dalla  luce  divina  sono
          sephirot, cioè numeri), all’alchimia, alla scolastica (Dante ha i suoi « numeri sacri
          »), alla cultura umanistico-rinascimentale e ai suoi riecheggiamenti romantici. Per la

          filosofia moderna, da Cartesio a Kant, da Hobbes al positivismo, il numero è invece
          una realtà soggettiva, un modus cogitandi, secondo l’espressione usata da Cartesio,
          a prescindere dal fatto che l’operazione mentale che lo produce sia pensata come
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