Page 606 - Dizionario di Filosofia
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cura di A. Banfi, Milano 1953.
          NOÈMA (gr. nóēma, percezione, intuizione). L’oggetto della percezione intellettuale o
          il  suo  contenuto.  In  un  frammento  di  Parmenide  il noema  nato  dal  pensiero  è
          contrapposto  alla doxa,  l’opinione  soggettiva  fondata  sull’esperienza  sensibile.
          Aristotele chiama noemi le nozioni non ancora connesse nel giudizio, e quindi non

          suscettibili di essere qualificate come vere o false. Nel linguaggio di Husserl e dei
          seguaci  della  fenomenologia,  in  genere  il  termine  noema  designa  il  contenuto
          dell’esperienza  vissuta  (Erlebnis),  come  si  presenta  alla  noesi*.  Il  noema  non  si
          identifica con l’oggetto della percezione in quanto « cosa », ma è il « senso » (Sinn)
          di essa ed è costituito dal complesso dei predicati e dei modi di essere colti dalla
          riflessione e raggruppati intorno all’oggetto come « polo ».

          NOÈSI  (gr. nóēsis, pensiero, intuizione).  Conoscenza intuitiva, pensiero immediato.
          Aristotele  definisce  Dio  come nóēsis  noéseos,  pensiero  di  pensiero.  Nell’uso
          moderno il termine è stato introdotto da Husserl per designare il momento soggettivo
          della relazione intenzionale, e cioè gli atti di comprensione (percettivi, giudicativi,
          rammemorativi, ecc.) rivolti all’oggetto dell’esperienza vissuta.

          NOLONTÀ  (lat.  scolastico noluntas).  La  volontà  come  rifiuto  del  male;  in
          Schopenhauer, la volontà che nega se stessa; la resistenza volontaria a un impulso.
          (In questa accezione il termine è usato da alcuni psicologi moderni); l’assenza di
          volontà. (In questo senso il termine ricorre in Renouvier.)
          NOMINALE. Nella logica classica si dice della definizione che determina l’ambito di

          significato del nome che fa da soggetto. (Essa va distinta da quella sostanziale, che
          si riferisce invece alla natura o sostanza dell’oggetto designato.)
          NOMINALISMO. Concezione filosofica che nega la realtà degli universali, facendola
          coincidere con quella delle parole (nomi) che li designano. Essa fu sin dall’XI sec.
          una delle soluzioni del problema degli universali accolte dal pensiero scolastico. Si

          trattava di decidere che tipo di realtà fosse da attribuire agli universali (i generi e le
          specie), affrontando la questione lasciata in sospeso da Porfirio in un celebre passo
          dell’Isagoge,  che  riassume  le  fondamentali  soluzioni  del  problema  proposte  dal
          pensiero classico: « Quanto ai generi e alle specie, non dirò qui se essi esistano di
          per sé o siano soltanto posti dall’intelletto, né, nel caso che essi esistano di per sé,
          se siano corporei o incorporei, separati dalle cose sensibili o insiti in esse ».
          Sant’Anselmo, in polemica con i filosofi dialettici del suo tempo, cita  Roscellino

          come uno dei tanti « che credono che gli universali non siano altro che un fiato di
          voce (flatus vocis) »; dopo di lui il nominalismo fu di solito indicato nelle scuole
          con  l’espressione sententia  vocum,  finché  col XV  sec.  l’uso  del  termine  «
          nominalista » cominciò a prevalere. Il nominalismo ebbe un’importanza particolare
          nell’evoluzione  della  filosofia  medievale  ed  è  testimonianza  dell’inizio  di  una
          spregiudicata  problematizzazione  di  posizioni  gnoseologiche,  metafisiche  e

          teologiche  prima  dogmaticamente  accettate.  Roscellino,  la  cui  dottrina  del flatus
          vocis risulta assai poco chiara nella polemica citazione di sant’Anselmo, fu, per es.,
          condotto  dal  suo  nominalismo  ad  attribuire  sostanzialità  distinte  alle  tre  persone
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