Page 583 - Dizionario di Filosofia
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compatibilità fra onnipotenza divina e libero arbitrio umano è fonte inesauribile di

          controversie  sottili;  analogamente  il  bisogno  di  uscire  dalla  stretta
          dell’intellettualismo  ellenizzante  porta  la  tarda  scolastica  agli  estremi  del
          volontarismo assoluto (Dio non vuole il bene, ma il bene è ciò che Dio vuole).
          Mentre  dalla  predestinazione  calvinistica  deriverebbe,  secondo  M.  Weber,  l’etica
          del  lavoro  e  del  successo  pratico  come  verifica  dell’elezione  divina,  la  morale
          cattolica  dopo  la  Riforma  si  viene  sempre  più  configurando  come  una

          determinazione  analitica  di  doveri,  costruita  con  accorta  apertura  a  tutte  le  varie
          esigenze  dell’uomo.  Nel  Rinascimento  affiorano  motivi  nuovi  o  vengono
          originalmente rivissuti alcuni temi della morale classica e cristiana. Sul piano del
          fine della condotta, acquistano nuovo rilievo i valori mondani, come la famiglia, gli
          affari,  la  città  (Salutati,  Bruni,  ecc.),  mentre  G.  Bruno  esalta  l’operosità  creatrice
          come  più  vicina  a  Dio  dell’immobile  contemplazione.  Sul  piano  dei  moventi
          dell’azione sono riconsacrate come eticamente positive alcune inclinazioni naturali,

          come il piacere (Valla) o la tendenza all’autoconservazione (Telesio).
          La  morale  moderna  si  sviluppa  da  queste  premesse,  con  la  tendenza  a  cercare  la
          fondazione  di  sé  nella  natura  dell’uomo,  e  non  nella  garanzia  offerta  dalla
          trascendenza  religiosa.  La  distinzione  fra  l’attività  puramente  egoistica  e  quella
          fornita  di  valore  morale  è  ottenuta  conferendo  al  «  sentimento  »  un  principio  di
          universalità (Shaftesbury, Hutcheson), o anche dilatando a dimensioni altruistiche il

          concetto di « utilità » (Hume, A. Smith, Bentham). A una svolta decisiva del pensiero
          moderno il « Newton del mondo morale » fu, secondo Kant, Rousseau. Da lui Kant
          derivò  l’esigenza  di  una  morale  che  si  sottraesse  alla  garanzia  precaria  del
          sentimento  e  si  fondasse  sull’autonomia  della  volontà  e  sull’assolutezza
          incondizionata  della  legge.  L’«  immoralismo  »  di  Nietzsche,  rovesciamento  della
          morale  cristiana,  ascetica  e  nichilistica,  in  nome  dell’accettazione  integrale  della
          terrestre natura dell’uomo, si è ovviamente prestato a fraintendimenti dilettanteschi,

          ma  ha  anche  costituito  un  invito  suggestivo,  ancora  oggi  operante,  a  ripensamenti
          rigorosi e a verifiche radicali.
          Nella cultura italiana del Novecento la dottrina etica del Croce ha avuto un’influenza
          non inferiore, anche se meno vistosa, a quella del suo pensiero estetico. La morale si
          realizza come « volizione dell’universale », in rapporto di distinzioneimplicazione

          con la « volizione dell’individuale », nella quale si esprime la categoria spirituale
          dell’utile. In questa impostazione è da vedere uno dei tentativi più elaborati compiuti
          nell’ambito del pensiero idealistico di superare le tradizionali difficoltà dell’astratto
          universalismo etico da un lato e del soggettivismo utilitaristico dall’altro. Bergson
          ha da parte sua sottolineato la differenza fra la morale come sistema di obbligazioni,
          necessario all’ordine sociale, e la morale come slancio originale, libera invenzione
          di azioni che interrompe la ripetizione dell’abitudine. La sussistenza di una sfera di
          valori assoluti e immediatamente intuibili, riproposta nelle filosofie di Scheler e di

          Hartmann, continua ad avere fortuna nell’ambito di quel « platonismo perenne » che
          è uno dei caratteri permanenti della filosofia occidentale.
          Anche da una scorsa così rapida e sommaria risulta che la storia del pensiero offre
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