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(1959). Accanto a questi scritti vanno collocate le opere teatrali, nate quasi sempre
come proiezione scenica del travaglio metafisico dell’autore: Il cuore degli altri
(1921), L’iconoclasta (1923), Un uomo di Dio (1925), La cappella ardente (1931),
Il sentiero di cresta (1936), La sete (1938), Roma non è più Roma (1951), La
dimensione Florestan (1958).
Bibliogr.: P. Ricoeur, Gabriel Marcel et Karl Jaspers, Parigi 1948; P. Prini,
Gabriel Marcel e la metodologia dell’inverificabile, Roma 1950; H. Mougin, La
santa famiglia dell’esistenzialismo, Urbino 1971.
MARCHESINI (Giovanni), filosofo italiano (Noventa Vicentina 1868 - Padova 1931).
Fu allievo di Ardigò e professore all’università di Padova. Tentò di innestare nel
naturalismo del maestro una sua particolare visione dei valori morali, costruendo
quello che egli chiamò un « positivismo idealistico » o anche un « pragmatismo
razionale ». I valori sono finzioni e non fatti obiettivi: tuttavia essi stimolano l’uomo
e promuovono la sua attività creatrice. Il « finzionalismo », a torto avvicinato da
alcuni alla « filosofia del come se » di Vaihinger, fu aspramente criticato da Gentile.
Opere principali: Le finzioni dell’anima (1905), La finzione dell’educazione, o La
pedagogia del « come se » (1925).
MARCUSE (Herbert), filosofo americano di origine tedesca (Berlino 1898 -
Starnberg, Baviera, 1979). Nel 1927, con un corso sulla filosofia di Husserl, iniziò
la sua carriera di insegnante a Friburgo, dove aveva già studiato con Heidegger. Ma
più profondamente incisero sulla sua formazione quelli che sono restati per lui i
grandi maestri della coscienza critica moderna: Hegel, Marx e Freud, mentre
un’influenza determinante ebbero su di lui Horkheimer e Adorno, con i quali entrò in
contatto nell’ambito dell’Istituto per le ricerche sociali di Francoforte. All’avvento
del nazismo Marcuse, ebreo, riparò prima a Ginevra (1933) e poi l’anno seguente
negli Stati Uniti, dove insegnò in diverse università (Columbia, Harvard, Brandeis).
Dal 1954 à stato professore a San Diego in California.
La revisione del marxismo operata da Marcuse muove dall’individuazione dei
caratteri sostanzialmente nuovi della società industriale avanzata. In questa il declino
delle prospettive rivoluzionarie e la crescente integrazione della classe operaia nel
sistema esprimono un processo sociale oggettivamente necessario. L’aumento del
tenore di vita e l’adesione al sistema sono per lui i sottoprodotti inevitabili della
società industriale manipolata politicamente, nella quale la pubblicità,
l’indottrinamento e l’« obsolescenza pianificata » rientrerebbero ormai fra i costi
base di produzione. La società del benessere atrofizzerebbe l’opposizione sia nel
regno della politica e della cultura, sia in quello degli istinti, e nell’«
unidimensionalità » residua si instaurerebbe così una sorta di coscienza felice. Il
discorso dialettico stesso subisce, secondo Marcuse, una cristallizzazione
autoritaria, come è evidente nel ritualismo linguistico del marxismo sovietico, e
d’altronde, sull’altro versante, il neopositivismo è per lui la manifestazione
equivalente di una falsa coscienza, che costringe se stessa ad accettare e a
conservare un ordine di fatti inautentico. Contro questo asservimento del pensiero
all’establishment (le strutture che conservano l’ordine sociale vigente) Marcuse