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vittima di un’imboscata organizzata da elementi comunisti (dicembre 1936), Mao
riuscì a indurre il capo effettivo del Kuo-min tang ad una tregua, come prezzo della
sua liberazione, per opporre un fronte comune contro i Giapponesi. La tregua, più
volte violata durante la guerra, venne definitivamente rotta dopo la sconfitta e la resa
giapponese. Falliti i tentativi di mediazione americana (missione del generale
Marshall, novembre 1945 - gennaio 1946), la guerra civile riprese con violenza
(1946). Dopo una prima fase favorevole al Kuo-min tang le sorti si capovolsero a
partire dalla seconda metà del 1947, grazie soprattutto all’appoggio dato ai
comunisti dalle popolazioni contadine a cui beneficio l’Armata rossa aveva attuato
nelle zone occupate misure di riforma agraria. Mentre Chiang Kai-shek, con i resti
del suo esercito, si ritirava a Formosa (Taiwan), Mao proclamò il 1° ottobre 1949 a
Pechino la Repubblica Popolare Cinese della quale venne eletto primo presidente.
Con la promulgazione della nuova costituzione fu riconfermato presidente della
repubblica, conservando anche la presidenza del comitato permanente dell’uificio
politico del partito comunista (1954). Il parziale fallimento della politica del «
grande balzo in avanti » e del movimento per l’istituzione delle comunità del popolo
delle campagne (comuni), previste dalla costituzione del 1954, portarono a una
diminuzione del prestigio di Mao che non ripresentò la propria candidatura alla
carica di presidente della repubblica (aprile 1958), a favore di Liu Shaochi. Da quel
momento Mao, riservatasi la presidenza del partito, promosse una campagna di
denuncia dei gruppi di « opportunisti di destra » dentro e fuori del partito che «
sabotavano » la costruzione del socialismo in Cina. Avvenuta la rottura con Mosca
che ritirò gli esperti sovietici dalla Cina (luglio 1960), Mao, nel decimo plenum del
comitato centrale del PCC (settembre 1962), propose di intensificare la lotta contro
il revisionismo a livello mondiale e la lotta contro « i dirigenti degenerati » in Cina
attraverso un « movimento d’educazione socialista », che durò sino al 1966. Nel
corso di quell’anno, Mao approvò la pubblicazione del primo giornale murale
(dazibao), redatto all’università, che attaccava violentemente il sindaco di Pechino
Peng Cheng e, indirettamente, lo stesso presidente della repubblica Liu Shao-chi.
Questo fatto diede inizio alla « rivoluzione culturale proletaria », sostenuta da Mao e
da Lin Piao che fecero appello, contro l’apparato del partito, agli studenti e ai
contadini che costituirono il movimento delle « guardie rosse » (agosto 1966). Mao
riguadagnò in tal modo la maggioranza che aveva perduto in seno al PCC,
esautorando tutti i suoi avversari, compreso Liu Shao-chi, che venne privato della
sua carica ed espulso dal partito (ottobre 1968). Poeta e studioso oltreché uomo
d’azione, Mao Tse-tung è considerato uno dei grandi teorici del marxismo. I suoi
principali scritti teoretici sono Sulla Pratica (1937) e Sulla Contraddizione (1937).
Nel primo egli insiste sull’importanza della prassi rivoluzionaria, fondamentale non
solo per l’azione, ma anche per la conoscenza della realtà concreta. Nel secondo,
riprende la tesi marxista della dialetticità del reale, sottolineando accanto alla
universalità la particolarità della contraddizione, per cui il movimento dialettico
assume forme particolari in ogni cosa particolare ed è causa della qualità specifica
di quella cosa, riprendendo così gli insegnamenti di Lenin dell’ « analisi concreta