Page 525 - Dizionario di Filosofia
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meno consapevolmente macchiati il Bodin, il Lipsio e il Botero. Il trattato, che ebbe

          una grande fortuna ma che non si differenzia per la verità molto da quelli consimili
          della  letteratura  politica  della  Controriforma,  mostra  il  suo  aspetto  relativamente
          originale  nel  rilievo  dato  dall’autore  ai  problemi  dell’economia  e  della  finanza
          pubblica.

          MANDEVILLE (Bernard DE), filosofo inglese di origine francese (Dordrecht, Olanda
          1670 - Hackney, Londra, 1733). Dopo essersi laureato iti medicina a Leida (1691) si
          trasferì in Inghilterra. Tra le sue numerose opere la più famosa è La favola delle api,
          ovvero  I  vizi  privati,  benefici  pubblici,  apparsa  nel  1714  con  l’aggiunta  di  una
          Ricerca sulle origini della virtù morale, ma già pubblicata anonima nel 1705 con il
          titolo di L’alveare brulicante, ovvero Furfanti divenuti onesti. In essa Mandeville,
          influenzato da Hobbes e in polemica con il contemporaneo moralismo inglese che, ad

          opera  soprattutto  di  Shaftesbury,  tendeva  a  riaffermare  il  carattere  essenzialmente
          ottimistico della natura umana, sostiene che l’egoismo individuale non è negativo per
          la società, bensì può a essa essere utile, e afferma il carattere non naturale della virtù
          morale.

          Bibliogr.: Tra le edizioni delle opere di Mandeville è fondamentale quella critica
          The fable of the bees, a cura di F. B. Kaye, 2 voll., Oxford 1924 (rist.: 1966), per il
          corredo  critico  che  l’accompagna;  altre  edizioni: A  letter  to  Dion,  a  cura  di  B.
          Dobrée, Liverpool 1954; An enquiry into the origin of honour, and the usefulness
          of  Christianity in war,  a  cura  di  M.  M.  Goldsmith,  Londra  1971;  in  italiano: La
          favola delle api, a cura di C. Parlato Valenziano, Torino 1961; su M.: F. Grégoire,
          Bernard  de  Mandeville  et  la  fable  des  abeilles,  Nancy  1947;  J.  D.  Young,

          Mandeville  a  popularizer  of  Hobbes,  «  Modem  language  notes  »,  1959;  N.
          Rosenberg, Mandeville and laissez faire, « Journal of the history of ideas », 1963.
          MANICHEISMO.  Dottrina  del  riformatore  religioso  persiano  Mani  (Babilonia  215
          circa – Gundēhshāhpuhr 273 circa). Egli si proponeva di realizzare una sintesi del
          mazdeisme,  del  cristianesimo  e  del  buddhismo,  che  aveva  studiato  in  India.  Mani

          ammise la coesistenza e la lotta perpetua di due principi opposti: quello del bene,
          simbolizzato dalla luce e governato dal « padre della grandezza »; quello del male,
          retto dal « principe delle tenebre », rappresentato dalle tenebre e identifìcantesi con
          la  materia.  Tra  questi  due  principi  sorse  una  lotta  accanita  quando  la  materia,
          raggiunta dalla luce, volle innalzarsi fino alla sua altezza, ponendo fine alla netta
          separazione dei due regni. Per contenere l’attacco delle tenebre, il Dio buono creò
          l’uomo  iniziale,  il  quale  però  fu  vinto  dalle  potenze  delie  tenebre  e  da  esse

          imprigionato nella materia; si ebbero quindi le fasi successive della lotta tra il bene
          e  il  male  che  portarono  alla  creazione  del  mondo  terreno  e  dell’uomo  in  cui,
          attraverso  l’unione  carnale,  si  perpetua  la  prigionia  della  luce  nella  materia;
          l’umanità sarà redenta solo attraverso la conoscenza della verità cioè della luce che
          ogni uomo porta in sé. Tale redenzione viene operata in primo luogo da Gesù, un

          Gesù  «  luminoso  »,  o  Gesù  «  intelligenza  »  (interpretato  quindi  secondo  canoni
          gnostici), che mostra ad Adamo la sua origine divina, e quindi da Mani e dalla sua
          dottrina che, accettata, porterà alla fine del mondo fìsico con il ritorno alla primitiva
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