Page 522 - Dizionario di Filosofia
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Ahriman,  in  perpetua  lotta  col  Dio  del  bene.  Poiché  d’altra  parte  la  totale
          nullifìcazione  del  male  risulta  poco  persuasiva  per  l’uomo  impegnato
          incessantemente nella lotta contro la negatività, si è tentato altre volte di collocare il
          principio del male nel cuore stesso della divinità, seppure in funzione subordinata e
          con una sorta di garanzia della sua necessaria sconfitta. Il mistico tedesco J. Böhme
          sosteneva che in Dio si trovano avvinti in amorosa lotta due principi antagonistici,

          uno  luminoso  e  uno  tenebroso,  e  questa  concezione  è  divenuta  uno  dei  capisaldi
          dottrinari  della  cosiddetta  teosofia.  La  tesi  della  irrealtà  del  male  ha  avuto  una
          formulazione famosa nella Teodicea di Leibniz (con la classica distinzione del male
          i n metafisico,  fisico  e morale)  ed  è  presente  anche  nelle  filosofie  idealistiche
          ispirate al concetto della totale significanza e razionalità del reale.
          All’ottimismo  di  queste  dottrine  si  contrappone  il  pessimismo  di  chi  afferma
          l’invincibilità del male, il carattere illusorio del bene, la vanità del tutto e in fondo

          l’insignifìcanza  della  distinzione  fra  positivo  e  negativo,  come  risulta,  almeno  in
          certi contesti, dalle parole di Leopardi, di Schopenhauer e di E. von Hartmann.
          Se si considerano le cose con il necessario rigore, sembra ragionevole concludere,
          d’accordo  con  Kant,  che  il  male  è  concepibile  solo  come  l’oggetto  del  giudizio
          negativo di valore. Esso è quindi soggettivo, anche se questa soggettività non deve
          essere limitata alla sfera dell’individuale e dell’empirico, entro la quale, più che di

          male e di bene, si dovrebbe parlare del piacevole e del suo opposto. Un’esplosione
          atomica  è  male  solo  nella  misura  in  cui  compromette  o  distrugge  una  realtà
          riconosciuta  come  positiva  (lo  sviluppo  della  vita,  la  creatività  dell’uomo,  il
          progresso  civile):  senza  questo  riferimento,  ogni  qualificazione  sarebbe  priva  di
          senso.

          MALEBRANCHE  (Nicolas DE),  filosofo  francese  (Parigi  1638-1715).  Figlio  di  un
          segretario del re, iniziò il suo noviziato all’Oratorio nel 1660 e fu ordinato sacerdote
          nel  1664.  Scoprì  la  sua  vocazione  filosofica  leggendo  il Trattato  sull’uomo  di
          Cartesio e, a conclusione delle meditazioni nate da quell’incontro, pubblicò nel 1674
          il primo volume della Ricerca della verità*.
          Nel  1676  uscirono  le Conversazioni  cristiane,  riassunto  in  forma  dialogica  del

          pensiero  dell’autore,  e  subito  dopo  le Meditazioni  sull’umiltà  e  la  penitenza
          (1677).  La  pubblicazione  del Trattato  della  natura  e  della  grazia  (1680)  dette
          origine a una polemica teologica con Bossuet e con Arnauld, che si trascinò fino al
          1687. Nel 1683 videro la luce le Meditazioni cristiane e metafisiche e il Trattato
          di morale*,  nel  1688  i Dialoghi  sulla  metafisica  e  la  religione,  in  cui  espose  i
          capisaldi del suo pensiero, nel 1696 i Dialoghi sulla morte. Più tardi Malebranche
          si difese dall’accusa di quietismo con l’opera Trattato dell’amore di Dio (1697), la

          quale valse a farlo riconciliare col  Bossuet.  I gesuiti, che avevano allora qualche
          difficoltà con  Roma per la questione dei riti praticati nelle loro missioni in  Cina,
          ritennero che Malebranche si fosse riferito a loro nell’opera Dialogo di un filosofo
          cristiano e di un filosofo cinese sull’esistenza di Dio (1708). Il filosofo fu ancora
          una volta trascinato controvoglia in una polemica che raggiunse toni di particolare
          asprezza.  Sulla  linea  tipica  della  «  scuola  »  cartesiana  Malebranche  ebbe  anche
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