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Ahriman, in perpetua lotta col Dio del bene. Poiché d’altra parte la totale
nullifìcazione del male risulta poco persuasiva per l’uomo impegnato
incessantemente nella lotta contro la negatività, si è tentato altre volte di collocare il
principio del male nel cuore stesso della divinità, seppure in funzione subordinata e
con una sorta di garanzia della sua necessaria sconfitta. Il mistico tedesco J. Böhme
sosteneva che in Dio si trovano avvinti in amorosa lotta due principi antagonistici,
uno luminoso e uno tenebroso, e questa concezione è divenuta uno dei capisaldi
dottrinari della cosiddetta teosofia. La tesi della irrealtà del male ha avuto una
formulazione famosa nella Teodicea di Leibniz (con la classica distinzione del male
i n metafisico, fisico e morale) ed è presente anche nelle filosofie idealistiche
ispirate al concetto della totale significanza e razionalità del reale.
All’ottimismo di queste dottrine si contrappone il pessimismo di chi afferma
l’invincibilità del male, il carattere illusorio del bene, la vanità del tutto e in fondo
l’insignifìcanza della distinzione fra positivo e negativo, come risulta, almeno in
certi contesti, dalle parole di Leopardi, di Schopenhauer e di E. von Hartmann.
Se si considerano le cose con il necessario rigore, sembra ragionevole concludere,
d’accordo con Kant, che il male è concepibile solo come l’oggetto del giudizio
negativo di valore. Esso è quindi soggettivo, anche se questa soggettività non deve
essere limitata alla sfera dell’individuale e dell’empirico, entro la quale, più che di
male e di bene, si dovrebbe parlare del piacevole e del suo opposto. Un’esplosione
atomica è male solo nella misura in cui compromette o distrugge una realtà
riconosciuta come positiva (lo sviluppo della vita, la creatività dell’uomo, il
progresso civile): senza questo riferimento, ogni qualificazione sarebbe priva di
senso.
MALEBRANCHE (Nicolas DE), filosofo francese (Parigi 1638-1715). Figlio di un
segretario del re, iniziò il suo noviziato all’Oratorio nel 1660 e fu ordinato sacerdote
nel 1664. Scoprì la sua vocazione filosofica leggendo il Trattato sull’uomo di
Cartesio e, a conclusione delle meditazioni nate da quell’incontro, pubblicò nel 1674
il primo volume della Ricerca della verità*.
Nel 1676 uscirono le Conversazioni cristiane, riassunto in forma dialogica del
pensiero dell’autore, e subito dopo le Meditazioni sull’umiltà e la penitenza
(1677). La pubblicazione del Trattato della natura e della grazia (1680) dette
origine a una polemica teologica con Bossuet e con Arnauld, che si trascinò fino al
1687. Nel 1683 videro la luce le Meditazioni cristiane e metafisiche e il Trattato
di morale*, nel 1688 i Dialoghi sulla metafisica e la religione, in cui espose i
capisaldi del suo pensiero, nel 1696 i Dialoghi sulla morte. Più tardi Malebranche
si difese dall’accusa di quietismo con l’opera Trattato dell’amore di Dio (1697), la
quale valse a farlo riconciliare col Bossuet. I gesuiti, che avevano allora qualche
difficoltà con Roma per la questione dei riti praticati nelle loro missioni in Cina,
ritennero che Malebranche si fosse riferito a loro nell’opera Dialogo di un filosofo
cristiano e di un filosofo cinese sull’esistenza di Dio (1708). Il filosofo fu ancora
una volta trascinato controvoglia in una polemica che raggiunse toni di particolare
asprezza. Sulla linea tipica della « scuola » cartesiana Malebranche ebbe anche