Page 526 - Dizionario di Filosofia
P. 526
separazione della luce dalla tenebra. I manichei erano divisi in due classi: uditori o
neofiti, e perfetti. Solo questi ultimi realizzano pienamente in loro la divisione dei
due principi, con frequenti e lunghi digiuni, con l’astensione da ogni violenza, con
l’astinenza carnale.
Il manicheismo è conosciuto oggi, oltre che da una tradizione indiretta costituita
dalle opere polemiche di sant’Agostino, da scritti di filosofi neoplatonici e da
qualche testo siriaco e arabo, da copiosi resti della letteratura manichea, rinvenuti
negli scavi in Asia centrale, in Egitto e in Algeria.
Il manicheismo si presentò come religione universale. Si diffuse specialmente nella
Persia, nell’India, nel Tibet, nella Cina, nel Turchestan e in occidente nell’Africa
settentrionale, nell’Italia meridionale e nella Spagna. In Europa esso si continuò, a
quanto sembra, nelle dottrine dei bogomili e dei catari, che si ricollegano a una
visione dualistica del mondo.
MANISMO (dal lat. manes, spiriti dei morti). Teoria che spiega le origini della
religione come evoluzione di un originario culto dei morti. Già implicita nelle
dottrine di Evemero di Messina (v. EVEMERISMO) secondo cui gli dei erano
originariamente uomini, poi divinizzati, essa ebbe assertori soprattutto nella seconda
metà del XIX sec., in clima positivistico, con Fustel de Coulanges (La città antica),
con E. B. Taylor (La cultura primitiva) e soprattutto con Herbert Spencer (Principi
di sociologia) che ne fece la trattazione più sistematica. Questa teoria, però, alla
luce della moderna filosofia della religione appare un’analisi senz’altro parziale che
non tiene conto di tutte le componenti che contribuiscono alla formazione dell’idea di
essere trascendente.
MANNHEIM (Karl), sociologo tedesco (Budapest 1893 - Londra 1947). Già
professore nelle università di Heidelberg e di Francoforte, dopo l’avvento del
nazismo dovette emigrare in Inghilterra, dove insegnò pedagogia alla London School
of Economics. Nel pensiero del Mannheim conservano un rilievo tutto particolare la
dottrina marxistica dell’ideologio e la concezione weberiana della funzione
dell’intellettuale nella società. Se l’ideologia è la universalizzazione più o meno
mistificata degli interessi di una classe sociale in un determinato momento storico, il
compito dell’intellettuale è appunto quello di superare l’ideologia, elaborando una
interpretazione obiettiva e scientifica della società e cogliendo il nodo dei conflitti
di classe in tutta la sua articolata complessità. L’atteggiamento « al di sopra della
mischia » e l’aspirazione a comprendere la totalità organica della società sono i
tratti caratteristici della « sociologia del sapere » (Wissenssoziologie) del
Mannheim. La sua preoccupazione di uscire dalla parzialità delle posizioni di classe
è il riflesso intellettuale, « ideologico » anch’esso, delle scelte politiche tradizionali
della socialdemocrazia tedesca. Opere principali: Il problema di una sociologia del
sapere (1925), Ideologia e utopia (1929), I compiti attuali della sociologia (1932),
Diagnosi del nostro tempo (1943), Libertà, potere e pianificazione democratica
(postumo, 1950), Sociologia sistematica (postumo, 1957).
Bibliogr.: A. Santucci, Forme e significati dell’utopia in K. Mannheim, in Filosofia
e sociologia, Bologna 1954; P. Rossi, K. Mannheim e la sociologia del sapere, in