Page 508 - Dizionario di Filosofia
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quale tutte le contraddizioni risultano mediate e placate. Kierkegaard e Marx però

          hanno messo di nuovo l’accento sulla persistenza drammatica della contraddizione:
          fra  l’uomo  e  Dio  il  primo,  fra  l’individuo  e  la  società  capitalistico-borghese  il
          secondo. Egli ha esaminato inoltre criticamente lo storicismo moderno, mettendone
          in  luce  i  legami  con  l’escatologia  cristiana  e  contrapponendo  a  esso  l’«  eterno
          ritorno » di Nietzsche, espressione dell’esigenza di sottrarre al flusso della storicità
          ciò che di permanente e di immutabile è al fondo della natura e dell’uomo. Opere

          principali: Max Weber e Karl Marx  (1932), Kierkegaard e  Nietzsche  (1933), La
          filosofia  nietzschiana  dell’eterno  ritorno  dell’uguale  (1935), Da  Hegel  a
          Nietzsche  (1941), Il  significato  della  storia,  in  inglese  (1949), Heidegger,
          pensatore in un tempo precario (1953).
          LUCRÈZIO CARO (Tito), poeta latino (Pompei [?] 98 circa - 55 a.C.). Eccettuate le

          discusse notizie tramandate da san Girolamo, secondo le quali sarebbe stato colpito
          da  pazzia  per  un  filtro  amatorio  e  avrebbe  composto  parte  della  sua  opera  nei
          momenti di lucidità mentale, per uccidersi infine all’età di quarantaquattro anni, nulla
          si sa della sua vita. La conoscenza di lui si ha attraverso l’unica sua opera, De rerum
          natura*,  che  costituisce  uno  dei  capolavori  della  letteratura  latina.  Dall’opera
          appare un’acuta sollecitudine per « i tristi tempi della patria », funestata dagli odi

          politici e dalle guerre civili, che via via si allarga fino all’angosciata considerazione
          della  misera  sorte  dell’umanità.  Conseguenza  immediata  ne  è  l’ardore  messianico
          inteso  a  dare  ai  suoi  concittadini,  non  meno  che  ai  mortali  tutti,  la  possibilità  di
          riscattarsi  da  quanto  opprime  la  loro  esistenza  e  di  renderla  tranquilla  e  serena.
          Mezzo miracoloso appare all’autore la dottrina epicurea, che offre una spiegazione
          razionale della natura del mondo e degli uomini, eliminando insieme con il timore
          degli dei anche la paura della morte e ogni sorta di credenze superstiziose sull’al di

          là.  Strumento  persuasivo  della  sua  missione  gli  si  presenta  la  poesia,  che  con  la
          suggestione dell’arte della parola congiunta al rigore dialettico, induce negli animi la
          fede  ottimistica  in  Epicuro.  Lucrezio  celebra  il  suo  Verbo  che,  sostenuto  dalle
          conquiste del materialismo, razionalmente presume di superare il male di una realtà
          soggettivamente sentita come intessuta di dolore e di colpe.

          Bibliogr.:  Fondamentale è l’edizione del De rerum natura, a cura di C. Bailey, 3
          voll., Oxford 1947-1950; molto utile anche il commento, a cura di A. Ernout e L.
          Robin,  Parigi  1962;  e  l’Index  lucretianus,  a  cura  di  J.  Paulson,  1926;  per  la
          bibliografia: C. A. Gordon, A bibliography of Lucretius, Londra 1962; P. Boyancé,
          Lucrèce  et  l’épicurisme,  Parigi  1963;  A.  D.  Winspear, Lucretius  and  scientific
          thought,  Montreal  1963;  P.  Boyancé, Lucrèce,  Parigi  1964;  L.  Perelli, Lucrezio

          poeta dell’angoscia, Firenze 1969.
          LUKÁCS (György), critico e filosofo ungherese (Budapest 1885-1971). Figlio di una
          ricca famiglia di banchieri, dovette vincere la resistenza paterna per dedicarsi agli
          studi  filosofici  e  letterari.  L’opera  che  gli  diede  ancora  giovanissimo  fama

          internazionale  fu L’anima e le forme (1910), analisi acuta del rapporto fra arte e
          civiltà borghese. L’approfondimento degli studi filosofici lo condusse rapidamente
          da  Hegel a  Marx.  Entrato nel partito comunista ungherese nel dicembre del 1918,
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